Intervista a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo.
D. Quando è nato in te il desiderio di iniziare a scrivere libri?
R. Io scrivo molto male. Ho sempre scritto in modo così terribilmente illeggibile, tanto che la maestra mi chiamava „Andrea Zampedigallina“.
Scrivere è stato il mio dramma fin dalla giovane età, nel senso che avevo ed ho una grafia così orribile, una vera e proprio orrida cacografia (che parola puzzolente, eh!), che fin da piccolo mi avevano pronosticato il futuro: „diventerai dottore, con quella scrittura!“
La sorte poi, per impedirmi di destinare a morte certa quelli che potevano essere i miei futuri pazienti, ha voluto che prendessi altre vie, ma sempre vie di scrittura a zampe di gallina! Alla maturità la mia insegnante d’Italiano , molto preoccupata, mi disse: „Andrea, con te come faremo? Dovrai portare la macchine per scrivere, altrimenti chi ti legge?“
Ecco, la macchina per scrivere prima e il computer poi sono stati la mia salvezza, la mia vera fortuna, perché hanno permesso alle zampe di gallina, alle orecchie asinine e alle macchie da porcellino di trovare una veste bella, ordinata e leggibile. Tuttavia quella specie di animali strani nati dalla mia obbrobriosa scrittura, non hanno voluto abbandonarmi e anche all’epoca dei tablet, laptop e altri marchingegni tecnologici, mi si sono presentati in forma di filastrocche, storielle, rime e rimerelle, che mi sono divertito a raccontare un po’ da sempre, visto che ho insegnato, oltre che alle medie, alle superiori e all’Università, anche a livello elementare, ma soprattutto da quando, oramai quasi 20 anni fa, è nata mia figlia che, per noi genitori già un po’ attempati, è stato come un miracolo: un vero dono dalle stelle, un de-siderio, nel senso etimologico del termine.
Da allora non ho mai smesso di raccontare (poveri alunni e povera figlia!!) e uso appositamente il verbo raccontare, perché la narrazione orale mi ha sempre affascinato tantissimo, come le fiabe, i miti, le storie del folclore locale, che sono vere e proprie opere aperte, in cui infinite sono le possibilità di cambiamenti, improvvisazioni, conclusioni mai concluse. Per questo, più che „scripta manent“ amo le „verba volant“, perché volano, sempre nuove, sempre diverse, sempre eternamente vive di racconto in racconto, di padre in figlio, di nonno in nipote e vincono la cristallizzazione del foglio scritto. E un po’ è come vincere la morte…un po’!
D. Se ti dovessi descrivere usando solo tre aggettivi quali sarebbero e perché?
R. Forse sarebbe meglio porre la domanda a chi mi conosce o al mannello di lettori delle mie „prove di scrittura“, per vedere cosa ne esce fuori. Io, per me, sono troppo coinvolto da me stesso, ma ci proverò guardandomi dalla prospettiva di un „Qualcos’altro“, un po’ come Ulrich Anders nell’ „Uomo senza qualità“ e non me ne voglia Musil.
Ironico-autoironico: mi piace cogliere sempre l’altro lato della realtà, quello nascosto, divergente, capovolto, divertente, scherzoso, che sterza e genera un mondo alla rovescia, che sposta la visuale (in tedesco c’è un bell’aggettivo per spostato: “ver-rückt”, in cui il prefisso ver- indica un cambiamento, un andare via, uno spostarsi dal luogo comune, proprio come i pazzi: “Verrückten”, lontani dalla superficialità e più vicini al senso profondo della vita). Pur essendo a volte molto pedante (d’altra parte sono un prof. piuttosto navigato, sic!) non riesco a prendere le cose troppo sul serio; e le persone, le cose seriose mi fanno subito ridere, perché ne colgo la pesantezza, la vacuità e il pomposo, quanto noiosissimo pavoneggiamento. L’essere ironico mi aiuta anche a sdrammatizzare, perché poi tanto il mondo, con noi o senza di noi, con le nostre „opere magne“ (che poi, chi se le „magna“??) o senza, va avanti lo stesso. Ovviamente questo modo di guardare la realtà lo uso anche su me stesso e i miei testi; pertanto mai prendersi troppo sul serio, perché alla fine, come cantava bene Edoardo Bennato „sono solo canzonette“! Ironia o autoironia della sorte, mi viene in mente che il mio primo successo ( o sul cesso?? Mah…) letterario è stato un racconto dal titolo „Da una terra a un’altra“ (primo classificatosi nell’ambito del Premio Pietro Conti, 1998, per la narrativa inedita. In giuria c’era anche una certa Dacia Maraini), trasmesso poi in forma di riduzione radiofonica da RAI-INTERNATIONAL per il programma „Racconto italiano“ e questo racconto più serio o serioso non poteva essere , visto che tratta la problematica della perdita dell’identità linguistica, nazionale e sociale di chi è costretto a emigrare, quindi a perdersi per ricominciare. Il racconto è anche piuttosto triste e angoscioso, tutto il contrario degli scritti successivi, ma , ahimé senza suc-cesso (sic!).
Giocoso: penso sia l’aggettivo che mi caratterizzi meglio e qui devo ringraziare il prefatore de „I racconti del favoliere“, il professor Gianluca Prosperi, che titola il suo pezzo „Il giocoliere di parole“, cogliendo in pieno gli aspetti giocoso-giullareschi e di curiosa meraviglia che il mio alter-ego, appunto il favoliere, incarna nel suo mo(n)do di parole; un favoliere, che favoliere non è perché non racconta favole come Esopo o Fedro, ma piuttosto una sorta di giocoliere, giullare, cantastorie, imbonitore che, a cavallo delle più stravaganti bugie, apre squarci di storielle mitologiche, fiabesche, fatte di numeri, colori, cicli naturali e il tutto condito con il sorriso dell’ironia e la riflessione sulla natura delle cose.
Logorroico: non credo ci sia bisogno di spiegare il perché (ah, ah!!).
D. Quanto tempo hai impiegato per ideare dalla A alla Z “I racconti del favoliere”?
R. Il progetto è nato prima in ambito didattico, come proposta per presentare a una classe di discenti italofoni dei raccontini che non fossero troppo difficili da un punto di vista linguistico, che si basassero anche su elementi di Fantagrammatica e fossero divertenti.
Non so se ci sono riuscito, fatto sta che quei „verba volant“ di cui parlavo prima, spingevano per diventare, contro la mia volontà, personaggi di „scripta manent“, che pertanto ho accontentato.
L’apparato didattico è divenuto poi programma radiofonico, quando i redattori di „Radio Colonia ( ora „Radio Cosmo“, l’emittente in lingua italiana in Germania), mi hanno proposto di tenere una rubrica per la radio, dal titolo appunto „Il favoliere“, in cui ho letto e interpretato i racconti scritti, che cosí sono ritornati nel loro alveo orale, grazie alla magia della radio, della voce e della lettura.
Il tutto è durato circa un anno e mezzo ed è stata un’esperienza molto divertente.
D. Chi credi “dovrebbe” comprare e leggere il tuo libro?
R. Il testo è indirizzato a un pubblico di bambini di livello medio-elementare, ma penso vada bene anche per tutti i giovani e i diversamente giovani, perché no! In fondo il regno della fantasia è per tutte le generazioni e può incantare i più giovani, come i più adulti; i nonni, come i nipotini, basta immaginare di avere un paio d’ali e volare, mano nella mano, con il favoliere in un mondo, scaturito da parole, che creano di volta in volta, situazioni fantastiche, surreali e realistiche al tempo stesso. Infine sono anche insegnamenti, senza voler fare assolutamente la morale, con la tipica leggerezza dei bambini, di cui anche gli adulti avrebbero bisogno: la leggerezza dei sogni parlanti.
D. Quali sono le tue fonti di ispirazione nell’ambito artistico-culturale?
R. Sicuramente tanto, tanto Gianni Rodari, Carlo Collodi, poi Italo Calvino, in particolar modo i racconti fantastici e la sua proclamata „leggerezza“ ne „Le lezioni americane“, ma anche il funambolismo della sua trilogia; le “fiabe sonore”, edite da Fabbri; ma anche molta letteratura tedesca, in modo particolare gli autori del Fantastico e, tra tutti, E.T.A. Hoffmann, oltre a Schiller, Chamisso, Tieck.
Ultimamente traggo ispirazione anche dai racconti distopici di Azimov e Huxley.
Tuttavia una delle mie letture e riletture preferite, insieme a scrittori e poeti classici, di cui non ci su stanca mai, resta la „Recherche“ di Marcel Proust: il mio vero „livre de chevet“.
D. Che importanza ha il genius loci all’interno del tuo lavoro?
R. Moltissima. Da tanti anni ormai sono docente qui in Germania, eppure sento sempre forti le mie radici umbre, meglio si dica tuderti. Amo molto la terra che è la mia seconda patria, anche se non è la terra delle mie origini e, a volte, in certi momenti „epifanici“ sento la felicità, sí, l’armonia delle due anime: quelle tedesca e quella italiana, per cui, a differenza di altri, non mi sento mai straniero, ma a casa, nella mia „Heimat“ sia qui che a Todi. Nostalgia del genius loci? Certo è normale, umano, perfino Ulisse vi fa ritorno, per ripartire. Nel mio caso „tornare a casa“ significa sia qui che altrove. Però il mio „ubi consistam“, quello che più mi è congeniale, è quello „in forma di parole“!
Spesso per non prendermi troppo sul serio, dico che mi sarebbe piaciuto essere un Italo-Svevo, ma va bene anche il più provinciale Umbro-Renano!
D. Quale progetto presumi ti rappresenta di più fino ad oggi? Puoi raccontarci la sua genesi?
R. Tutti e nessuno. D’altra parte, come si dice bene in napoletano: „Ogni scarrafone è bello a mamma sua!“ Pertanto anche la poesia più brutta, il racconto più insulso, la storiella meno divertente e più banale, sono come tanti figli, che ti rappresentano tutti e di cui nessuno ritieni sia il migliore, perché faresti torto agli altri, che sempre figli sono. In genere quello a cui sto lavorando al momento presente è ciò che mi rappresenta di più; al momento presente e ora è un certo Jacopone da Todi, che ritorna nella sua città natale intorno all’anno 3000, per vedere come vanno le cose.
Però ora a pensarci bene, mi viene in mente una poesia, la più bella che abbia mai composto e che mi rappresenta più di ogni altro scritto, proprio perché non l’ho scritta da solo (ed è molto di più Di una parola scritta), ma insieme a mia moglie, ai desideri, alla fantasia, a Pinocchio, a questa vita „altrove“, a Dio, alla natura e, naturalmente a tutti i miei difetti e le mie zampe di gallina: la poesia è mia figlia Elen.
D. Quale consiglio daresti ad un giovane che avrebbe desiderio di intraprendere prossimamente il tuo stesso cammino?
R. Intanto penso di essere l’ultimo che potrebbe dare consigli, semmai riceverli dai molti, molto più bravi di me; poi come ben si dice „il cammino, la via è la meta“, pertanto non smettere mai di fare strade, di peregrinare, ricercare, curiosare negli eventi e nelle vite che ci accompagnano o che, per caso o destino, chissà, incrociamo come nel famoso castello dei destini incrociati.
Posso solo dire che alla base di tutto deve esserci una gran dose di umiltà, di autoironia (mi raccomando saper ridere di sé, delle proprie debolezze, le crepe, i difetti).
Leggere, leggere molto e di tutto, ma soprattutto i Classici. Non ci si improvvisa „scrittori“ da oggi e domani o perché si scrive un’autobiografia o una saga familiare. Dalla lettura si impara tantissimo e non si finisce mai di imparare. Leggere è fondamentale. Poi mai sentirsi Poeti, Scrittori. Purtroppo oggi, soprattutto in Italia, tutti quelli che scrivono un libro (e sono/siamo migliaia) si definiscono subito poeti, scrittori, mentre gli Scrittori e i Poeti veri, sono di ben altro e alto calibro, basti pensare a Ovidio, Leopardi, Pirandello, Calvino, Mann, Proust. Svevo, Musil, Solo per fare qualche nome.
In ogni caso avere però anche la libertà di interrompere una lettura se noiosa, se distante da noi, se non ci prende, come ci insegna Pennac.
Seguire sempre i propri sogni, senza divenirne degli schiavi e, soprattutto, scrivere per divertirsi, emozionare, rallentare questa folle corsa del tempo. Essere la Sherazade che racconta per mille e una notte e anche di più e di canto in canto, di conto in conto, fa ridere e ballare anche la morte.
D. Quali i tuoi progetti futuri?
R. Sto proprio per l’appunto correggendo le bozze di „Ci sarà una volta…Jacopone“, sempre per Bertoni editore. La vicenda, a proposito di futuro, si svolge intorno al 3000, quando Jacopone da Todi, stanco di vagare per l’iperspazio, decide di ritornare nella sua adorata città d’origine, per vedere come stanno le cose e rendersi conto dei cambiamenti. All’inizio la sua Todi, ormai post-tecnologica e futuribile, gli appare completamente irriconoscibile, tanto che vorrebbe scappare.
Poi però incontra un gruppetto di giovani del futuro, che non sanno nulla di lui, ormai sepolto anche nella memoria collettiva, e così si dipana la vicenda tra passato e futuro: Jacopone racconta ai ragazzi di sé, la sua vita, i primi amori, la conversione, le sue laudi, la sua lotta contro la corruzione della Chiesa, la prigionia e i giovani lo rendono partecipe di ologrammi, avatar, teletrasporto, proiezioni di vita dal passato al futuro e viceversa e intelligenze artificiali.
Tra loro nasce anche una sorta di amicizia, sebbene i due mondi e cioè il Medioevo del frate e il futuro robotizzato dei giovani, siano così distanti e diversi.
Attraverso le tecniche delle fantasmagoriche strumentazioni tecnologiche, i ragazzi riescono a ricostruire, come fosse una proiezione in video, la Todi degli anni del frate, che spiega loro, credendo di rivivere quelle scene del passato, la storia dell’amata Vanna, come e dove ha conosciuto gli amici poeti bolognesi, l’incontro con il futuro Papa Bonifacio VIII, la vicenda di Celestino V, la prigione e la morte a Collazzone, dove, come in sogno, gli appare il suo maestro di vita, Francesco d’Assisi, con cui si intrattiene per gli ultimi istanti della sua vicenda terrena.
Alla fine però…beh….diciamo che mi fermo qui, altrimenti quel mannello di lettori si assottiglia ulteriormente.
D. Grazie Andrea Carbonari per la tua disponibilità e gentilezza… come vorresti finire questa nostra chiacchierata?
R. Grazie a te. Beh…in fondo come è iniziata, perché mi piacciono i rimandi, le fini che sono inizi e gli eterni ritorni: sulla scrittura. Ecco ci tengo a precisare che non amo affatto esser definito scrittore. Come ho ben chiarito prima, gli Scrittori, quelli veri, sono di ben alt(r)a caratura e non mi permetterei mai nemmeno di avvicinarmi a chi ha dato lustro, con le sue opere, alla letteratura nazionale e internazionale. Noi siamo piuttosto degli epigoni e, come tali, destinati a non lasciare tracce, però ricchi del patrimonio artistico-culturale di chi ci ha preceduto.
Se dovessi definirmi, mi chiamerei uno scrivente, che scribacchia “in forma di parole” degli scrittarelli, che in realtà sono “prove di scrittura”, “disiecta membra”, nulla di più.
Ma se queste piccole cose “leggere e vaganti” portano allegria, fanno ridere, sorridere, emozionare, fantasticare, allora, forse… forse… sono sul cammino tracciato ben bene da altri.
Mi piace concludere con quello che diceva Fabrizio De André, mutuando l’espressione da Benedetto Croce e che io, a mia volta, riformulo per suggellare l’intervista: fino a venti anni siamo tutti poeti e scrittori. Chi poi continua a scrivere o è un vero poeta e scrittore o un cretino. Io…speriamo che me la cavo, cercando di trovare un posticino…là in mezzo: in fondo tra il poeta e il cretino le sfumature sono infinite, nella consapevolezza che , appunto: “non mettetemi alle strette, sono solo canzonette”!
Nota bio-bibliografica
Andrea Carbonari è nato a Todi (PG). Dopo essersi laureato in Germanistica all’Università di Firenze, è stato docente di lingua e letteratura italiana all’istituto di Romanistica dell’Università di Colonia.
Ha insegnato per anni prima lingua e cultura italiana e poi lingua e lettere italiane alla scuola media comprensiva ”Francesco Petrarca” e al Liceo Linguistico Europeo “Italo Svevo” di Colonia.
Attualmente insegna Tedesco, Francese e Italiano.
Ha pubblicato saggi di letteratura critica e comparata in diverse riviste italiane (tra cui “Dismisura”, „In forma di parole“, “Proteo”, “Lettere italiane”, quest’ultima co-diretta dal Prof. Giorgio Barberi-Squarotti); traduzioni dal tedesco in italiano e viceversa per libri d’arte e libretti d’opera; poesie e racconti (apparsi su riviste quali “Astolfo”, “Dismisura”, “La clessidra”, “Il piede e l’orma” e sulla homepage di Rai- Radio 3).
Ha collaborato con la Rizzoli traducendo un racconto di un autore romantico tedesco per il volume „I Romantici Tedeschi“ e con la SEI, traducendo e curando un testo di narrativa per ragazzi su due racconti di E.T.A. Hoffmann(“Il piccolo Zaccaria”; “La principessa Brambilla”) corredati di apparato didattico (collana “I colori del racconto”).
Un suo racconto dal titolo “Da una terra all’altra” (tra i giurati anche la scrittrice Dacia Maraini) è risultato vincitore per la sezione Narrativa del Premio Pietro Conti, III edizione 1999, ed inserito nel volume „Racconti dal mondo”, edito dalla F.I.L.E.F; nel 2001 RAI-INTERNATIONAL ne ha trasmesso una riduzione radiofonica, sotto forma di radiodramma, per il programma “Racconto Italiano”. Un altro racconto dal titolo “Agostino” è stato segnalato dalla giuria dello stesso premio nell’ambito della IV edizione.
Nel 2010 e nel 2011 ha curato il programma radiofonico “Il favoliere”, trasmesso da Radio Colonia (la radio italiana in Germania), leggendo e interpretando alcune sue storielle per bambini.
Nel 2013 ha pubblicato per Ex-Libris, “Animali sui pianeti”.
Nel 2015 una sua poesia ha avuto il primo premio nell’ambito del concorso “Todi: la città che amo”. (I. edizione)
Nel 2015 ha pubblicato per la Casa Editrice Apollo un libricino dal titolo “Mo(n)di in rivolta”, con annesso eserciziario.
Nel 2016 un suo monologo inedito dal titolo “Non è vero” ha ricevuto il primo premio del concorso internazionale “Regina Margherita” di Bordighera, sezione prosa.
Nel 2017 una sua poesia, dal titolo “Quelli che ami”, ha vinto il primo premio per l’originalità espressiva sempre a Todi. (III. edizione del concorso)
Nel 2019 ha pubblicato per Bertoni, Perugia : “I racconti del favoliere”.
Nel 2020 una sua poesia “Giorno di fiera” ha ricevuto una menzione speciale nell’ambito del concorso “La città che amo” V. edizione; così come nel 2021 per la VI.edizione con la poesia “Millenovecentoottantadue”
Nel 2021 ha ricevuto un premio speciale della giuria per poesia inedita: Premio “Ossi di seppia” XXVII edizione.
Dove trovare il libro online
https://www.bertonieditore.com/shop/it/libri/309-i-racconti-del-favoliere.html
https://www.lafeltrinelli.it/racconti-del-favoliere-libro-andrea-carbonari/e/9788855350419
Dettagli
Autore: Andrea Carbonari
Illustratore: Elen Carbonari
Editore: Bertoni
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 29 luglio 2019
Pagine: 144 p., ill. , Brossura
Età di lettura: Da 10 anni
EAN: 9788855350419