“La fotografia è un atto tecnico. Il fotografo è una persona che guarda” diceva Gabriele Basilico, maestro indiscusso del racconto per immagini dello spazio urbano. La grande rassegna “Metropoli” che il Palazzo delle Esposizioni di Roma gli dedica fino al 13 aprile è una lectio magistralis su come l’ occhio del fuoriclasse italiano dello scatto si sia posato per una vita intera sulle grandi città italiane e straniere rancontandone le trasformazioni, dalle stratificazioni storiche all’ espansione delle periferie, e al tempo stesso mostrando in che modo nel tempo sia cambiato il suo modo di guardare. Giovanna Calvenzi e Filippo Maggia, curatori della rassegna con la collaborazione dell’ archivio Basilico, hanno selezionato oltre 250 opere, di formati diversi fino alle grandi dimensioni, alcune esposte per la prima volta, dagli anni Settanta al Duemila riunendole i cinque capitoli in cui le metropoli italiane – Milano, Roma, Palermo – e le capitali internazionali come Madrid, Barcellona, Parigi, Buenos Aires, Gerusalemme, San Francisco, New York, Tel Aviv, Istanbul, Rio De Janeiro vengono affiancate secondo analogie e differenze, assonanze e contrasti. Gabriele Basilico (Milano 1944- 2013) ha fatto della analisi sul paesaggio antropizzato, sulla forma e l’ identità della città il cuore di una ricerca che lo ha impegnato per 40 anni e alla quale ha dedicato oltre cento libri.
“La particolarità di questa mostra – dice spiega Calvenzi – è che qui ci sono solo città di cemento ad eccezione della sezione dedicata a Roma, dove inevitabilmente spicca il marmo. Tutto il resto è il suo racconto delle città certamente non monumentali che però in qualche modo lo diventano nel suo lavoro”. Le immagini danno conto con maggior enfasi della sua “attrazione per il costruito”. L’ itinerario seguito dai curatori parte da una visione particolarmente ravvicinata sul piano stradale, che è quella di “Milano, ritratti di fabbrica” del 1978-1980, il suo primo progetto importante, che con il passare del tempo “si allarga e si innalza, diventando sempre più ampia e onnicomprensiva, con una forte empatia nei confronti della città. Siamo partiti da qualcosa che Gabriele stesso aveva cominciato nel 2012, una riflessione sul suo modo di raccontare la città, e abbiamo arricchito, modificato e integrato il materiale seguendo questo filo conduttore”. Ecco, quindi, “Sezioni del paesaggio italiano”, indagine del 1996; “Beirut”, due campagne fotografiche per la prima volta esposte insieme, realizzate nel 1991 in bianco e nero e nel 2011 a colori, la prima alla fine di una lunga guerra durata oltre quindici anni, la seconda per raccontarne la ricostruzione; “Le città del mondo” e infine “Roma”, da Basilico “amata enormemente” nella quale lavorò a più riprese, fino al 2010.
Un elemento emerge in modo netto dall’ intera galleria di immagini: è un resoconto sulla città, non sulla vita della città. Nei grandi scatti in bianco e nero e nel numero ristretto di fotografie e colori non la presenza umana è quasi del tutto assente. Gli scorci urbani sono deserti. Nei rari casi in cui compaiono le persone, come quelle distese a prendere il sole su un prato di San Francisco con la città in lontananza, il loro ruolo è assolutamente marginale, ininfluente. “Sono città degli uomini ma non è necessario che gli uomini ci siano – osserva Calvenzi -. Alle nuove generazioni di fotografi Basilico lascia in eredità la capacità e l’ invito a imparare a guardare. Credo che la sua lezione più importante sia di farci vedere le cose che abbiamo sotto gli occhi e che non vediamo”
Basilico, lo sguardo sulle metropoli
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