Tristezza, preoccupazione costante, ma anche insonnia, dolori di stomaco e battito cardiaco accelerato. La ricerca condotta da Capterra a febbraio 2022 rivela i preoccupanti sintomi di cui soffrono i lavoratori italiani a causa dello stress lavoro correlato, le principali fonti di stress sul lavoro e perché si fa ancora fatica a parlare di salute mentale con il proprio manager.
Aprile è riconosciuto in alcuni Paesi, tra cui gli Stati Uniti, come Stress Awareness Month, ovvero un mese per educare ed educarsi sugli effetti negativi dello stress e su come quest’ultimo possa essere ridotto e mantenuto sotto controllo. E citando lo stress, chi non ha sentito parlare in questi ultimi mesi di “Great Resignation” o del fatto che gli under 35 italiani siano tra i più stressati al mondo? Questi temi sono sulla bocca di tutti e fanno parte di un macro argomento che è quello della salute mentale.
Secondo la definizione fornita nella Costituzione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), la salute mentale in ambito lavorativo è uno stato in cui l’individuo, tra le altre cose, “riesce a svolgere la propria attività lavorativa in maniera produttiva”. Questa condizione è stata scossa per molti professionisti a causa di tutte le conseguenze portate dalla pandemia dovuta alla diffusione di COVID-19.
La salute mentale dei dipendenti post pandemia e le conseguenze dello stress sul lavoro
Se prendiamo in considerazione la salute mentale degli intervistati a febbraio 2022, solo il 14% descrive il proprio stato mentale come eccellente, mentre prima della pandemia questa percentuale arrivava al 22%.
La maggioranza (40%) dice di godere di uno stato di salute mentale buono, mentre prima della pandemia la percentuale toccava il 50%.
Ad aumentare è stato invece il numero di dipendenti che ritiene che la propria salute mentale sia in questo momento precaria: a febbraio 2022 si tratta dell’11% degli intervistati, e questo dato sfiorava il 4% prima della pandemia.
La ricerca ha poi indagato il livello attuale di stress dei lavoratori, momento in cui si stanno abbandonando la maggior parte delle restrizioni, rispetto all’anno scorso. Ne deriva la seguente fotografia del livello di stress della popolazione italiana: il 51% degli intervistati è attualmente tanto stressato quanto lo era un anno fa, il 25% invece è meno stressato.
Allarmante la crescita per il 24% del livello di stress da un anno all’altro e anche i sintomi relazionati descritti dagli intervistati:
- Problemi di concentrazione (28%)
- Sentimenti di tristezza (26%)
- Senso di preoccupazione costante (26%)
- Problemi di insonnia (24%)
- Problemi di memoria (20%)
- Sintomi fisici, come vertigini, tensione o dolore muscolare, problemi allo stomaco, dolore toracico o battito cardiaco accelerato (19%)
Ma perché si arriva a sperimentare queste condizioni di malessere psicofisico? È risaputo che una cultura aziendale che non si cura di garantire benessere fisico e psicologico ai propri dipendenti difficilmente riuscirà a trattenere i collaboratori a lungo (a proposito di Great Resignation). Nonostante ciò, gli intervistati riportano ancora tante problematiche che si trasformano in fonti di stress che potrebbero essere risolte prestando maggiore attenzione alle esigenze dei lavoratori.
Le fonti dello stress sul lavoro e il rapporto manager-dipendente
Gli italiani non hanno dubbi sul fatto che al primo posto tra i fattori inerenti al lavoro che causano stress ci siano un aumento del carico di lavoro (39%), il timore di essere contagiati da Covid-19 sul posto di lavoro (21%), il mancato supporto da parte del proprio manager (20%) e dei colleghi (18%). Ma a generare stress e ansie sono anche la sensazione di dover essere sempre disponibile (18%), l’instabilità lavorativa (17%) e la difficoltà di conciliazione tra la vita privata e quella lavorativa (16%).
La comunicazione qui potrebbe rappresentare un vero punto di svolta. Per poter affrontare ed evitare che lo stress degeneri un deterioramento della salute mentale dei dipendenti questi ultimi dovrebbero poterne parlare ai loro manager, e allo stesso modo i manager dovrebbero assicurarsi dello stato dei propri dipendenti. Dallo studio però risulta che quasi 1 intervistato su 5 ha difficoltà a sollevare l’argomento. Il 21% si sente ancora abbastanza o molto a disagio a parlare del proprio benessere mentale con il superiore o supervisore.
Interessante anche vedere le risposte dei manager nel momento in cui viene presentata una situazione di stress da parte dei lavoratori. In questo caso il 37% si è sentito/a ascoltato/a in maniera pro attiva, il 35% è stato/a incoraggiato/a a prendersi dei giorni di ferie e il 20% ha visto il proprio manager prendersi la responsabilità di ridurre il carico di lavoro del dipendente.
Purtroppo però, il 17% dei manager che sono stati avvertiti dal lavoratore di soffrire di una situazione mentale precaria non hanno fatto nulla per appoggiare il collaborare e cambiare la situazione.
In ultima analisi la ricerca si è posta l’obiettivo di indagare se la salute mentale dei lavoratori rientri tra le priorità delle PMI. Il 42% degli intervistati ritiene che la salute mentale abbia una priorità moderata nella propria azienda, e il 22% dice invece che ha una priorità bassa, ovvero non rappresenta una vera e propria priorità.
Risulta quindi evidente che ci sia ancora molta strada da fare perché la condizione mentale dei dipendenti possa essere presa maggiormente in considerazione e le PMI italiane diventino dei luoghi in cui regnano benessere fisico e mentale.
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