Lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza. Dalla crisi economica, l’ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno ad un logoramento sfociato da una parte in “stratagemmi individuali” di autodifesa e dall’altra in “crescenti pulsioni antidemocratiche”, facendo crescere l’attesa “messianica dell’uomo forte che tutto risolve”. Lo rileva il Censis nell’ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Per il 48% degli italiani ci vorrebbe “un uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni.
Il 62% degli italiani è convinto che non si debba uscire dall’Unione europea, ma il 25%, uno su quattro, è invece favorevole all’Italexit, emerge dall’ultimo rapporto Censis. Se il 61% dice no al ritorno della lira, il 24% è favorevole e se il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alla frontiere interne della Ue, considerate un ostacolo alla libera circolazione di merci e persone, il 32% sarebbe invece per rimetterle.
Negli ultimi tempi sembra essere montata una pericolosa deriva verso l’odio, l’intolleranza e il razzismo nei confronti delle minoranze. Il 69,8% degli italiani è convinto che nell’ultimo anno siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Un dato netto, confermato trasversalmente, con valori più elevati al Centro Italia (75,7%) e nel Sud (70,2%), tra gli over65 (71%) e le donne (72,2%). Lo si evince dal 53° rapporto del Censis che indica come per il 58% degli intervistati è aumentato anche l’antisemitismo.
L’aumento dell’occupazione nel 2018 (+321.000 occupati) e nei primi mesi del 2019 è un “bluff” che non produce reddito e crescita. Secondo il Censis il bilancio della recessione è di -867.000 occupati a tempo pieno e 1,2 milioni in più a tempo parziale. Il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani (+71,6% dal 2007). Dall’inizio della crisi al 2018, le retribuzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro ogni anno. I lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l’ora lordi sono 2,9 milioni.
Il 25,8% di chi possiede uno smartphone non esce di casa senza il caricabatteria al seguito. Oltre la metà (il 50,9%) controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera prima di andare a dormire. Sono alcune istantanee scattate nel 53/o Rapporto Censis che dimostrano come la diffusione su larga scala dei telefonini ‘intelligenti’ nell’arco di dieci anni abbia finito con il plasmare i nostri desideri e i nostri abitudini. Nel 2018 il numero dei cellulari ha superato quello delle tv.
L’aumento dell’occupazione nel 2018 (+321.000 occupati) e nei primi mesi del 2019 è un “bluff” che non produce reddito e crescita. Per il Censis, il bilancio della recessione è di -867.000 occupati a tempo pieno e 1,2 milioni in più a tempo parziale. Il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani (+71,6% dal 2007). Dall’inizio della crisi al 2018, le retribuzioni del lavoro dipendente sono scese di oltre 1.000 euro ogni anno. I lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l’ora lordi sono 2,9 milioni.
Il 73,2% degli italiani è convinto che la violenza sulle donne sia un problema reale della nostra società che evidenzia come in Italia sia ancora presente una forte disparità tra uomini e donne, mentre il 23,3% ritiene che sia un problema che riguarda solo una piccola minoranza, emarginata dal punto di vista economico e sociale. Solo il 3,5% della popolazione ritiene che non si tratti di un problema e che siano casi isolati cui viene data una eccessiva attenzione mediatica. Ma nel periodo tra il 1° agosto 2018 e il 31 luglio 2019 in Italia ci sono stati 92 omicidi di donne maturati in ambito familiare e affettivo. Nello stesso periodo le denunce di stalking sono state 12.733 e nel 76% dei casi la vittima era una donna. Le denunce per maltrattamenti contro familiari e conviventi erano 15.626 nel 2017 e nell’80% dei casi la parte offesa era una donna. Le violenze sessuali denunciate nel 2018 sono state 4.887, aumentate del 5,5% in un anno.
Nel 2017 il 31,1% degli emigrati italiani con almeno 25 anni era in possesso di un titolo di studio di livello universitario e il 53,7% aveva tra i 18 e i 39 anni (età media di 33 anni per gli uomini e di 30 per le donne). Tra il 2013 e il 2017 è aumentato molto non solo il numero di laureati trasferiti all’estero (+41,8%), ma anche quello dei diplomati (+32,9%). Tra il 2008 e il 2017 i saldi con l’estero di giovani 20-34enni con titoli di studio medio-alti sono negativi in tutte le regioni italiane. Quelle con il numero più elevato di giovani qualificati trasferiti all’estero sono Lombardia (-24.000), Sicilia (-13.000), Veneto (-12.000), Lazio (-11.000) e Campania (-10.000). Il Centro-Nord, soprattutto Lombardia ed Emilia Romagna, ha compensato queste perdite con il drenaggio di risorse umane dal Sud.
Gli “arrabbiati” si informano prevalentemente tramite i tg (il 66,6% rispetto al 65% medio), i giornali radio (il 22,8% rispetto al 20%) e i quotidiani (il 16,7% rispetto al 14,8%). Tra gli utenti dei social network “compulsivi” (coloro che controllano continuamente quello che accade sui social, intervengono spesso e sollecitano discussioni) troviamo punte superiori alla media sia di ottimisti (22,3%) che di pessimisti (24,3%). Per leggere le notizie scelgono Facebook (46%) come seconda fonte, poco lontano dai telegiornali (55,1%), e apprezzano i siti web di informazione (29,4%). Facebook (48,6%) raggiunge l’apice dell’attenzione tra gli utenti “esibizionisti” (pubblicano spesso post, foto e video per esprimere le proprie idee e mostrare a tutti quello che fanno). I “pragmatici” (usano i social per contattare amici e conoscenti) si definiscono poco pessimisti (14,6%) e più disorientati (30,7%). Mentre gli “spettatori” (guardano post, foto e video degli altri, ma non intervengono mai), sono poco pessimisti (17,1%). I media influenzano gli umori degli italiani, come dimostra il 53/o Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. In generale, le diete mediatiche – rileva l’istituto di ricerca – hanno subito una grande trasformazione. Nel 2009 le persone con diete mediatiche solo audiovisive (radio e televisione tradizionale), cioè gli utenti con le diete più povere, erano il 26,4% degli italiani. Il loro numero è sceso progressivamente e nel 2018 rappresentano il 17,9% del totale. Il 73,5% della popolazione ha superato il digital divide (erano il 48,7% nel 2009: +24,8% in dieci anni) e un terzo degli italiani ha una dieta mediatica ricca ed equilibrata, al cui interno trovano spazio tutti i principali media (audiovisivi, a stampa e digitali): sono il 35,5% nel 2018, ma il dato è stabile perché erano il 35,8% anche dieci anni fa. Le diete mediatiche più complete sono appannaggio della classe dei 30-44enni (41,5%), seguiti da chi ha tra i 45 e i 64 anni (39%), mentre i giovani under 30 si collocano, con il loro 34,4%, al di sotto del dato medio. La spiegazione di questa carenza tra i più giovani è data dal numero di quanti utilizzano tutti i media eccetto quelli a stampa, che in questa fascia d’età arrivano al 52,8%, nettamente al di sopra del 38% riferito alla popolazione totale.