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Roma – “Noi abbiamo un allenamento costante a
fronteggiare l’emergenza. Siamo come una molla che si carica e
lavora per essere carica, per poi essere rilasciata quando serve.
Questo vuol dire che facciamo un continuo monitoraggio di quello
che accade nel mondo e quando ci sono avvisaglie di qualcosa che
sta venendo fuori, mettiamo in campo le nostre conoscenze,
competenze e la nostra esperienza in ambito nazionale e
internazionale”. Lo ha detto la direttrice del laboratorio di
virologia dell’Istituto nazionale per le Malattie Infettive
Lazzaro Spallanzani di Roma, Maria Rosa Capobianchi, intervistata
dall’agenzia Dire. Capobianchi, fa parte del team di donne,
composto da Concetta Castilletti e Francesca Colavita, che hanno
isolato il nuovo Coronavirus in Italia.
“A gennaio- ha raccontato la direttrice del laboratorio dello
Spallanzani- e’ venuto fuori che forse c’era qualcosa di
preoccupante, cioe’ un cluster di polmoniti. E gli scienziati
cinesi, devo dire a tempo di record, hanno scoperto l’agente, ne
hanno pubblicato la sequenza con trasparenza e tempi migliori
rispetto a quelli che hanno caratterizzato la risposta alla SARS.
Una volta pubblicata la sequenza, tutti i laboratori di punta si
sono organizzati per cercare di mettere a punto i metodi, tra cui
anche noi.
Subito dopo l’Oms ha pubblicato un protocollo
diagnostico e lo abbiamo adottato sui primi pazienti che
arrivavano con sospetto all’Istituto. La prima diagnosi l’abbiamo
fatta il 29 gennaio, quando sono arrivati i due turisti cinesi, e
non nascondo che ci sono stati attimi di trepidazione: eravamo ad
un’attivita’ di formazione e divulgazione interna per un
aggiornamento e ricordo che i vari laboratoristi si scambiavano
cenni dicendo ‘il test e’ in corso!’. Poi punto e’ venuto fuori
che era positivo”.
A quel punto, ha raccontato Capobianchi,
“ci siamo immediatamente attivati per mettere in piedi
l’isolamento virale. Non e’ una pratica comune ma, quando ci sono
i virus, bisogna avere il virus. La sequenza e’ stata resa
disponibile fin dal 10 gennaio e quello e’ un dato importante,
come la carta d’identita’, perche’ si puo’ usare per capire come
confezionare il vestito a quel ricercato, ma non si puo’ usare
per capire le caratteristiche biologiche”. Ma non basta neppure
isolare il virus, perche’ “quando c’e’ un adattamento del virus
ad una nuova nicchia ecologica, in questo caso l’uomo- ha
spiegato la ricercatrice- e’ importante capire qual e’ la
variabilita’, quindi bisogna confrontarsi tra i vari laboratori
per capire se l’agente che stiamo guardando si modifica, perche’
poi dobbiamo adattare i metodi diagnostici e capire qual e’ il
suo potenziale. È importante allora che nelle prime fasi piu’
laboratori facciano piu’ sequenze e isolamenti- ha concluso- e
che si mettano in comune in banche dati. Noi lo abbiamo inserito
gia’ in tre circuiti”.