Roma – “La cultura è all’inizio e alla fine di ogni progetto di sviluppo”. Parole e visione di Léopold Sédar Senghor, poeta della liberazione post-coloniale e primo presidente del Senegal indipendente, citate durante un incontro alla Luiss Guido Carli. “Università di altissimo livello” scandisce Cleophas Adrien Dioma, radici in Burkina Faso, una vita in Italia, dove anima il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo: “Oggi può servirsi di noi cittadini con origini straniere come ponti e ambasciatori nel mondo”.
A Roma, nella sede dell’ateneo di Confindustria, si parla di questo. La prospettiva sta nelle parole di Senghor: è quella della formazione, che vuol dire dare per poi ricevere, della cultura come chiave per costruire società, politiche e imprese inclusive. Introduce Raffaele Marchetti, vicerettore della Luiss con delega all’internazionalizzazione. “Troppo a lungo”, la premessa, “si è guardato ad altri Paesi senza vedere gli attori globali che abbiamo qui dentro casa, che avrebbero dovuto essere i nostri interlocutori primari”.
Rilancia Marco Francesco Mazzù, recruiting leader e professore di digital e marketing. “Possiamo ripartire da ‘People’, ‘Planet’ e ‘Prosperity’, le parole del G20 di Roma” dice. “Le persone allora, e il pianeta, villaggio globale, multicentrico e multiculturale; le diaspore ne sono il segno e il simbolo”.
Nella sede dell’università in viale Romania ad animare il dibattito sono loro, le comunità di origine straniera. Rappresentanti di un’Italia che cambia e dei loro Paesi di origine, Eritrea e Peru’, Angola e Messico, Egitto e Albania, Capo Verde e Moldavia, Brasile e Kenya, Repubblica del Congo e Bolivia, Guinea e Iran, Camerun e Filippine, Venezuela e Togo.
L’occasione è la presentazione della seconda edizione del Programma diaspore, ciclo di incontri che unirà online e presenza, schermi digitali e sguardi negli occhi. “Il primo anno ci ha aiutato a riflettere su temi chiave della contemporaneità, dalle nuove tecnologie all’inclusione sociale alla difesa dell’ambiente, ponendo un’attenzione particolare all’Africa e alle diaspore del continente in Italia” riprende Mazzù. “Abbiamo avuto 39 panelist e 1.034 partecipanti originari di 57 Paesi. Alcune settimane fa, grazie al contributo delle comunità, abbiamo assegnato due borse di studio a studenti della Guinea. Ora il percorso continua, guardando anche al di fuori dell’Italia, a chi le radici italiane le porta nel mondo”. Il calendario è pronto. Il primo appuntamento, dedicato a un continente a suo modo migrante e però sempre vicino, è previsto il 14 dicembre: Sudamerica-Italia. Migrazioni, cultura e futuro. Si continua il 3 febbraio, con Il network delle diaspore. Radici, comunità ed esperienza, una riflessione sulla necessità di partnership e approcci globali. Sguardo poi ancora a sud, con un workshop il 9 e 10 marzo intitolato Africa-Italia, prospettive per un’alleanza. È l’ultimo passaggio prima del fischio d’inizio, con un torneo di calcio sociale a Dakar, in Senegal, e poi i debattons, competizione di parole su temi chiave, dai diritti umani all’ambiente alla collaborazione tra i popoli.
Secondo Dioma, alla Luiss anche come president dell’associazione Le Reseau, “con la legge 125 del 2014 la politica italiana ha avviato una riflessione sul fatto che non si può lavorare nell’ambito della cooperazione senza pensare ai cittadini di origine straniera come ponti e ambasciatori nel mondo”. Un punto sul quale ritorna Mirtha Mella, presidente di PromueveRd, associazione della comunità dominicana in Italia. “La Luiss potrebbe avviare una collaborazione con l’Università iberoamericana di Santo Domingo” propone: “Si creerebbe una piattaforma di dialogo anche al servizio dell’antica comunità e delle tante imprese italiane che lavorano nel mio Paese di origine”.
Centrale, in molti interventi, il rapporto tra formazione e lavoro. Ne parla Paulo Henrique Correia, nato in Brasile, di base a Torino, dove rappresenta l’ateneo online Unigran: “E’ fondamentale coinvolgere le aziende italiane in percorsi di migrazione circolare, per la formazione di talenti e lo sviluppo di startup ‘born global’, senza confini e in prima fila sul terreno dell’innovazione”. Anche Mazzù è convinto che multiculturalità voglia dire performance migliori, fino al 12 per cento calcola, citando uno studio della società di consulenze McKinsey. Un dato acquisito per la Luiss, dice, visto che già tra anni fa è partito l'”international training program”, in partnership con le aziende interessate alla formazione di professionisti “future ready”, a prova di futuro. Rilancia Jaime Noriega, origini peruviane, presidente del Centro internazionale di cooperazione afro-latino-americano (Cical): “Uno dei Progetti ai quali ci piacerebbe lavorare, per favorire percorsi che vadano in entrambe le direzioni, sono stage di neolaureati italiani in Sudamerica”.
La premessa è che l’ateneo di Confindustria, specializzato in scienze sociali, con corsi bilingue, si sta aprendo sempre di più agli studenti di altre regioni del mondo. A chi cita la crescita delle ammissioni internazionali, +108 percento in un solo anno, si ricollega Josefa Trinidade, nata in Angola, dal 2005 in Italia: “Nel mio Paese di origine i ricchi vogliono mandare i figli alle scuole e alle università private; la diaspora può essere per la Luiss una porta di ingresso ai quattro angoli del mondo”.
Non c’è però solo business, la prospettiva resta sociale. Lo ricorda Marchetti, citando una collaborazione con l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati che ha garantito borse di studio a giovani colpiti dalla violenza in Medio Oriente. Vi
torna Nardi Gjergji, esperto di trasformazione digitale e innovazione, albanese e romano, che sottolinea l’importanza della “guida personale” fornita dai tutor che già conoscono le caratteristiche e l’unicità dei singoli atenei. Chiude Mehret Tewolde, ceo di Italia Africa Business Week, rassegna giunta già alla quinta edizione con al fianco anche la Luiss. È convinta che con il Programma diaspore sia possibile e anzi sia necessario contribuire a un cambio di narrativa. “E’ ora di finirla con lo stereotipo del migrante povero” dice. “Dobbiamo creare una cultura della diversità, raccontando i talenti e le professionalità”.