Il patrimonio immobiliare italiano vale 6.000 miliardi di euro, ma 2,5 milioni di edifici risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione. Il 70% è stato costruito prima dell’emanazione delle norme antisismiche con oltre 800 mila edifici realizzati più di 40 anni fa e complessivamente circa 9 case su 10 si collocano in una classe energetica scadente, con costi insostenibili per il nostro Paese.
E’ quanto è emerso oggi dal VII convegno organizzato dal gruppo Giovani imprenditori del Mezzogiorno di ANCE, a Gaeta, dal titolo: Manutenzione e riqualificazione delle infrastrutture e del patrimonio immobiliare. Occasione per fare il punto sui temi della sostenibilità̀ e della sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio immobiliare. Un evento a cui erano presenti, oltre alla rete ANCE, anche alcuni tra i principali soggetti legati al mondo delle Istituzioni, delle infrastrutture e della finanza per concordare le azioni da intraprendere nel prossimo futuro.
I dati di scenario presentati risultano pesanti, soprattutto per quanto riguarda il Sud Italia, in cui si concentra più del 40% dello stock edilizio del nostro Paese e per cui i numeri legati all’abusivismo risultano allarmanti. Secondo l’Istat tra il 2005 e il 2015 l’indice nazionale dell’abusivismo è salito dall’11,9% al 19,9%, per scendere nel 2017 al 19,4%. Un calo dovuto a un virtuoso trend nelle regioni del Centro Nord, mentre per le regioni del Sud se nel 2005 l’indice era del 33,2%, nel 2015 è salito al 40% e nel 2017 è giunto a un impressionante 49,9%.
“Case costruite fuori dalle regole, spesso in aree e territori ad elevatissimo rischio sismico e idrogeologico, costruite in economia e quindi più facilmente soggette a degrado e dove il rischio cresce in misura esponenziale.” Così afferma il presidente dei Giovani Imprenditori del Lazio Fabrizio Dell’Uomo. “Ed è il rapporto tra edificato e territorio che chiama in causa la questione nevralgica della sicurezza. Da un lato, Infatti, abbiamo un patrimonio vecchio e ad elevata dispersione energetica, costruito in tempi di scarsa consapevolezza e di insufficiente normativa rispetto ai rischi sismici e in momenti storici di forte espansione per quanto riguardava i consumi energetici. Dall’altro abbiamo un territorio fragilissimo e fortemente esposto a rischi naturali”.
Le aree a elevato rischio sismico sono infatti circa il 44% della superficie nazionale e interessano il 36% dei comuni e della popolazione, ovvero quasi 22 milioni di persone e oltre 5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali. Le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10% della superficie italiana e riguardano l’89% dei comuni e poco meno del 10% della popolazione, poco meno di 6 milioni di persone che abitano e lavorano in oltre un milione e 200 mila edifici.
Cartina di tornasole dello stato di degrado e degli elevati rischi a cui è soggetto il nostro patrimonio e i nostri figli è rappresentato dagli edifici scolastici. Nei territori a particolare rischio sismico (zona 1 e 2) vi sono oltre 17.000 edifici pari al 43% del totale delle scuole italiane. Di queste solo il 21% è progettato o adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica. Il 43% non dispone di certificato di collaudo Il 59% non dispone della prevenzione incendi Il 21,4% non ha un piano di emergenza e il 42,5% non ha accorgimenti di riduzione dei consumi energetici. “Siamo di fronte a un’emergenza nazionale drammatica, i cui costi in termini di degrado, di condizioni ambientali e di sicurezza mettono a rischio il futuro delle nuove generazioni”, afferma Dell’Uomo.
Come ha ricordato il Coordinatore dei Giovani imprenditori ANCE del Mezzogiorno, Antonino Foti: “Negli ultimi 5 anni si sono registrati nelle nostre scuole ben 206 crolli. Campanelli di allarme di un degrado e di un abbandono che mettono a rischio la nostra sicurezza e allo stesso tempo minano le nostre potenzialità di crescita e di competizione internazionale. Ci vuole un grande piano di messa in sicurezza del nostro territorio mettendo al centro le infrastrutture.”
Sull’importanza di un grande piano nazionale poliennale si è soffermata Gioia Gorgerino, Vicepresidente dei Giovani che ha sottolineato come ad impedire qualunque programma concreto di intervento sia la scarsa capacità di spesa del pubblico: “Negli ultimi 4 anni il gap tra le previsioni e la spesa effettiva è stato infatti di 12 miliardi. L’anno scorso abbiamo registrato -4% di investimenti contro il +6% registrato in Europa. Dati imbarazzanti, che bisogna al più presto invertire. Sarebbe utile superare l’approccio frazionato e occasionale convogliando le diverse progettualità o ambiti di finanziamento verso una pianificazione e un metodo condiviso e rigoroso, volto alla cura costante e continua del Paese, prevedendo una quota importante del PIL (2,5 -3%) per una arco di tempo almeno ventennale.”
Su questo Antonino Foti ha chiesto “un impegno forte da parte della politica e dei vertici delle amministrazioni e committenze pubbliche affinché le risorse messe a disposizione vengano spese secondo la pianificazione approvata e nei tempi previsti mettendo al centro dei programmi poliennali prossimi a venire proprio la manutenzione e la riqualificazione delle nostre reti e delle nostre infrastrutture”
Appello ripreso nelle sue conclusioni da Regina De Albertis, presidente dei Giovani Imprenditori di ANCE, che ha ribadito la necessità di un’azione condivisa da parte di tutta la filiera e di un ascolto da parte delle istituzioni affinché si possa lavorare tutti insieme per un obiettivo comune: rendere il patrimonio edilizio del Mezzogiorno e dell’Italia tutta, più sicuro e in linea con gli standard degli altri Paesi.