Monitorare lo stato di salute delle opere d’arte e scoprire i segreti di pennellate artistiche oggi è possibile grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. È quanto ha dimostrato il progetto di ricerca ARTEMISIA (ARTificial intelligence Extended-Multispectral Imaging Scanner for In-situ Artwork analysis) che, con indagini diagnostiche innovative e l’uso di algoritmi di IA, ha analizzato le opere della collezione permanente ‘Giorgio de Chirico‘ del Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese.
In particolare, è stato analizzato il quadro Mobili nella Stanza, del 1927. Per l’occasione sono state integrate due tecniche di indagine diagnostica non invasive: l’imaging iperspettrale (che riesce a individuare prevalentemente i materiali inorganici, come i pigmenti) e il macro-scanner FT-IR, in grado di identificare i materiali organici, come leganti e vernici. In un tempo molto breve è stata ottenuta una caratterizzazione completa dei materiali che sono presenti sull’opera per indirizzare meglio gli interventi di restauro e pianificare una corretta strategia conservativa.
Il progetto ARTEMISIA, finanziato dalla Regione Lazio e dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito dei progetti di ricerca e sviluppo del Distretto Tecnologico per i Beni Culturali del Lazio (DTC), è frutto di una biennale collaborazione interdisciplinare tra la rete INFN-CHNet (Cultural Heritage Network) per i beni culturali dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), in collaborazione con il partenariato composto dal Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente della Sapienza Università di Roma, l’Istituto Centrale per il Restauro (ICR), XTeam Software Solutions s.r.l, Vianet s.r.l. e, in qualità di portatore di interesse, la Sovrintendenza Capitolina.
“Portare la strumentazione nei musei è essenziale per realizzare indagini diagnostiche in situ che facciano conoscere lo stato di conservazione e i materiali con cui sono state eseguite le opere d’arte e, al contempo, ne preservino l’integrità” afferma la coordinatrice scientifica di Artemisia Mariangela Cestelli Guidi.
“Nel caso del quadro Mobili nella Stanza, lo studio ha evidenziato che il legante utilizzato dal pittore è stato l’olio – spiega Federica Pirani, Direttrice della Direzione Patrimonio artistico delle ville storiche della Sovrintendenza Capitolina – in linea con quanto riportato nel Piccolo trattato di tecnica pittorica, una sorta di vero e proprio ‘ricettario’ di colori e tecniche usate dall’artista stesso e da lui scritto. Per quanto riguarda i pigmenti, poi, è stata identificata la presenza di bianco di zinco, di blu di cobalto, e delle terre per le tonalità calde (rosso, marrone e viola). Infine per l’identificazione di prodotti di degrado, è stata notata la presenza di carbossilati, prodotti di alterazione che si formano naturalmente dall’interazione dello zinco (contenuto nel pigmento bianco di zinco) con l’olio”.
Tutte le informazioni raccolte grazie all’utilizzo di diagnostica coadiuvata da intelligenza artificiale consentono la costruzione di grosse banche dati che, se messe a sistema a livello non solo nazionale ma anche e soprattutto a livello internazionale, rafforzano la robustezza degli algoritmi di analisi. Obiettivo? Tutelare le opere d’arte, preservandole dall’usura del tempo e dalla possibilità di venire contraffatte.
L’Istituto Centrale per il Restauro ha messo a disposizione del progetto competenze in materia di conoscenza dei materiali costitutivi delle opere d’arte e delle tecniche esecutive, in ambito di restauro e sulla diagnostica applicata ai beni culturali. La tecnologia messa a punto nel progetto ARTEMISIA può essere anche un valido strumento di monitoraggio per i restauratori nelle operazioni di pulitura.