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Tra le 11 persone raggiunte da misura cautelare nell’operazione anti ndrangheta denominata “Spes contra spem” condotta dai Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, c’è anche Pasquale Zagari, uno dei principali protagonisti della faida di Taurianova nei primi anni ’90, era stato condannato all’ergastolo, pena però poi rideterminata in 30 anni di reclusione, conclusi con un periodo di sorveglianza speciale nel Nord Italia.
Pasquale Zagari è uno di quei pentiti per finta, che hanno continuato a delinquere una volta rimessi nelle condizioni di farlo.
“Una stortura – spiega Maricetta Tirrito, portavoce del Cogi, il Comitato collaboratori di Giustizia – che deve far riflettere sulle modalità di accesso e controllo di questo istituto giuridico senza per questo minarne la validità. I collaboratori di Giustizia sono stati fondamentali, e lo sono ancora, per smantellare organizzazioni particolarmente complesse come quelle criminali e mafiose. A patto che lo Stato verifichi i percorsi in essere”.
Pasquale Zagari aveva avviato un apparente percorso di “riabilitazione sociale”, partecipando a dibattiti, convegni e incontri, come testimone di redenzione, pentendosi del suo passato criminale, e contro l’ergastolo ostativo, in ultimo proprio a Taurianova, nel settembre 2020. In realtà, proprio nei primi permessi rilasciati durante la sorveglianza speciale una volta uscito dal carcere, Zagari era ritornato a Taurianova per compiere le sue attività delittuose, insieme a nuove leve della criminalità organizzata.
“Fa riflettere – spiega Tirrito – il fatto che Zagari sia tornato nella terra d’origine. Un collaboratore di Giustizia sincero, non torna a casa, non può farlo perché di fatto considerato nemico della criminalità organizzata sul territorio. Se accade, viene da pensare che le sue dichiarazioni siano state parte di una strategia per colpire ed eliminare gli avversari, proteggendo e rafforzando il proprio clan.
Un sospetto che in questo giorni accompagna anche la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca, che potrebbe aver adottato la medesima strategia, formalmente contro il proprio passato, ma in realtà usando l’istituto del pentimento come un’ennesima arma per mettere nel mirino solo specifici personaggi del mondo mafioso.
Non è un caso – prosegue – che il Comitato collaboratori di Giustizia non abbia mai rappresentato Pasquale Zagari né lui ha mai sottoscritto il nostro manifesto costitutivo. Esprimiamo ferma condanna per ciò che è accaduto, e riteniamo che a un soggetto del genere vada applicato l’isolamento perpetuo dalla società.
“Non tutti i collaboratori di Giustizia lo sono davvero – conclude Tirrito -. Il pentimento non può essere immaginato come una singola illuminazione dell’anima, ma è un percorso che va accompagnato e seguito per evitare ricadute. Come l’alcolismo!”