Il convegno dei giuslavoristi a Roma

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Proseguono i lavori del Convegno nazionale degli Avvocati Giuslavoristi Italiani – AGI -, dal titolo “…Fondata sul Lavoro”, fino a domani a Roma presso il Parco dei Principi Grand Hotel & SPA (Via Gerolamo Frescobaldi, 5).
La presidente dell’associazione, Tatiana Biagioni, ha aperto la mattinata ricordando che il Convegno ha ricevuto la medaglia di Rappresentanza del Capo dello Stato, attribuita dal Presidente della Repubblica a iniziative di particolare interesse culturale, scientifico, artistico, sociale. «Un riconoscimento che costituisce un grande orgoglio per la comunità di avvocate e avvocati giuslavoristi di AGI: all’attenzione e alla sensibilità del nostro Presidente va ancora una volta il sentito ringraziamento della nostra associazione, della nostra comunità». Quindi la Presidente ha nuovamente sottolineato lo spirito che ha ispirato questo appuntamento: «La Costituzione è una lente per guardare il mondo e analizzarlo in tempi difficili, gravati da crisi economica e guerra. In questo scenario incerto, preoccupante, il lavoro resta un pilastro sociale e democratico, valore fondante della nostra Costituzione. Ma se il lavoro è uno strumento di democrazia, allora deve essere un lavoro “buono”, giusto e legale».
Quindi, per un saluto, la parola a Paolo Nesta, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma: «Tramite il lavoro si realizza la persona e si dà un contributo all’economia del Paese. Nel corso dei secoli il lavoro ha subito trasformazioni, sono migliorate le condizioni dei lavoratori ma restano criticità: morti bianche, sfruttamento, caporalato. Sotto questo profilo gli avvocati svolgono un ruolo necessario, ma devono essere adeguatamente preparati, in particolare nel settore del diritto del lavoro. La collaborazione tra COA di Roma, AGI e università segue questo principio, nel solco della formazione e dell’approfondimento culturale, perché solo così un avvocato riesce a tutelare al meglio i diritti della persona che assiste».
La mattinata è proseguita con il dialogo “Diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e libertà economiche”, moderato dal giornalista de “Il Corriere della Sera”, Lorenzo Salvia, con Silvana Sciarra, presidente emerita della Corte costituzionale e Socia corrispondente dell’Accademia dei Lincei, e Marco Marazza, professore di Diritto del Lavoro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Avvocato. Il dialogo (riporteremo solo una battuta, al link della pagina Facebook di AGI il confronto integrale) è partito da una riflessione intorno all’Art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Sul principio di proporzionalità e in riferimento alle limitazioni ai diritti e alle libertà riconosciuti dalla Carta, Sciarra sottolinea che: «Proporzionalità non è mai un concetto univoco, bisogna adattarlo alle singole situazioni. C’è sempre più nelle vicende giurisprudenziali un bisogno di guardare ai singoli casi, non perché ci sia un atteggiamento ondivago, dispersivo, ma perché il riferimento alle singole situazioni, quindi una proporzionalità applicata ai singoli casi, è diventato fondamentale. Anche la nostra riflessione su libertà economiche e diritti sociali si deve collocare all’interno di un contesto ampio di riferimento, ci sono valori comuni, per esempio la parità uomo-donna, che tengono assieme il diritto internazionale e sovranazionale europeo, che guidano le massime corti europee e non possiamo che far rifermento a questi». Marazza lancia invece una provocazione: «Se diritti fondamentali e libertà economiche si pongono sullo stesso piano, così come da interpretazione dell’Art. 52, fermo restando che è impossibile toccare il contenuto essenziale degli uni o degli altri, rispettato il contenuto degli uni e degli altri, ha senso parlare di interpretazione costituzionalmente orientata? Dovrebbe essere un parametro neutro perché si basa su un assunto di valori paritario ma non sembra questo l’approccio sull’utilizzo della tecnicalità dell’interpretazione costituzionale».
Quindi la tavola rotonda “Lavoro povero e ruolo della contrattazione collettiva” moderato dalla giornalista de “Il Corriere della Sera” Rita Querzè con Massimo Marchetti, Executive Adviser Lavoro e Relazioni Industriali – Area Lavoro, Welfare e Capitale Umano di Confindustria; Arturo Maresca, professore Diritto del Lavoro dell’Università La Sapienza; Nicola Marongiu coordinatore contrattazione e mercato del lavoro CGIL; Rocco Palombella, segretario Generale UILM nazionale; Sara Passante, avvocata; Mattia Pirulli, segretario Confederale CISL; Luca Ratti, professore di Diritto del Lavoro Europeo e Comparato dell’Università del Lussemburgo e Avvocato.
Si è parlato di retribuzioni – ricordando che il 60 per cento del Pil del Paese è legato ai consumi interni -, contrattazioni e salari. Inquadrando il tema nello scenario europeo, Ratti spiega: «I lavoratori poveri in Europa sono circa 16 milioni su quasi 200 milioni, in Italia abbiamo il 10 per cento dei lavoratori poveri. Nel confronto comparato, l’Italia è priva quasi del tutto dei benefit per i lavoratori. C’è un enorme trasferimento di risorse per gli inoccupati e le famiglie povere, ma non un complemento della retribuzione per chi non arriva a certe soglie reddituali. Tutto ciò restituisce un quadro variegato che non dovrebbe portare a pensare di risolvere la povertà lavorativa alzando i salari e non ci aspettiamo che la direttiva del 2022 sui salari minimi adeguati faccia il miracolo». Per Maresca il nodo è quello del rispetto delle regole: «Il problema del lavoro povero è quello dell’inadempimento a una serie di regole. Dove si applicano i contatti collettivi non c’è lavoro povero, i trattamenti sono adeguati. La questione quindi non è nell’interpretazione o nel fare nuove norme ma nel fare applicare quelle esistenti. Abbiamo un’attività ispettiva che sarebbe la vera forma di realizzazione delle tutele, ma funziona?». L’avvocata Passante sottolinea che: «C’è un indebolimento della contrattazione collettiva a causa dello spostamento dell’economia verso settori meno sindacalizzati. L’epoca della gig economy ci riporta a scenari dei primordi dell’era pre-industriale in cui non c’è più sicurezza che col proprio lavoro si possa vivere. In questo contesto l’introduzione della parità di trattamento così come previsto dalla legge 1369 sarebbe stato auspicabile perché la parificazione dei trattamenti è funzionale a evitare quei fenomeni che hanno portato all’impoverimento progressivo». Sulla contrattazione Marongiu sottolinea: «Non abbiamo una situazione omogenea, industria e manifattura hanno una fisiologica capacità di aggiornare i contratti, ma abbiamo un enorme problema nel settore dei servizi che hanno avuto l’ultimo rinnovo nel 2018, alcuni nel 2016 e il pubblico impiego fermo al triennio 2019-21. Ma allora, non funziona la contrattazione o dobbiamo andare a vedere qual è lo stato di salute dei sistemi produttivi del nostro paese?». Per Palombella: «C’è un attacco ai contratti nazionali più rappresentativi, un’azione tendente a delegittimare le organizzazioni sindacali rappresentative e ciò significa avere un modello di società ‘al ribasso’. Il lavoro mal pagato non sarà più in grado di mantenere beni e servizi».
Pirulli punta sulla contrattazione di secondo livello: «Che è un elemento redistributivo che aiuta anche i settori ad alta redditività a redistribuire, ma non c’è la diffusione sperata perché non sempre dalla parte datoriale c’è la disponibilità a sedersi a un tavolo e confrontarsi. Andrebbe riscoperta anche la contrattazione territoriale che può permettere che tutto il sistema di welfare possa diventare erogabile, avere una ricaduta effettiva sui lavoratori. Serve anche una politica fiscale di sostegno che permetta di aumentare i salari anche attraverso una contrattazione di secondo livello». Marchetti, infine, sul patto della fabbrica: «Orsini vuole rilanciare i contenuti del patto per la fabbrica, importanti perché riguardano una sfera di problematiche tra cui quella del salario. La direttiva europea sul punto dice che una contrattazione collettiva funzionante rafforza la solidità dei salari. Ecco perché non siamo favorevoli a un salario minimo legale, perché per lo meno nell’industria abbiamo un sistema di contrattazione solido. Bisogna valorizzare la contrattazione con gli attori veri, da entrambe le parti, cioè bisogna verificare la rappresentanza non solo dei sindacati ma anche delle organizzazioni datoriali. Se i contratti si fanno in due, non può essere rappresentativa solo una parte. Sulla contrattazione di secondo livello pensiamo che abbia le stesse rigidità di quella nazionale. Noi abbiamo sempre puntato sulla contrattazione aziendale perché ogni azienda e a sé».
I lavori proseguiranno nel pomeriggio con i 4 workshop e i due dialoghi: “Dignità della persona e libertà d’impresa, tra diritto del lavoro e diritto penale” e “Lavoro e carcere”.
In quello a conclusione dei lavori di ieri “Inverno demografico” moderato dalla giornalista de “Il Sole 24 Ore” Manuela PerroneCecilia Tomassini, professoressa di Statistica e Demografia dell’Università del Molise, ha suggerito come invertire il trend di impoverimento demografico: puntare sulla crescita economica, coinvolgere di più le donne nel mercato del lavoro, incrementare la spesa pubblica per le famiglie, i servizi di conciliazione lavoro-famiglia, bilanciare l’impegno uomo-donna nel lavoro domestico, adottare misure stabili e non temporanee. Riguardo al coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro, la presidente AGI Tatiana Biagioni sottolinea però che «In Italia ci sono norme come l’articolo 55 del decreto legislativo 151/2001 in base al quale le donne possono dimettersi durante il primo anno di vita del bambino senza preavviso e accedendo alla Naspi, norma che in questi anni ha causato migliaia e migliaia di uscite ingiustificabili. Le risorse andrebbero utilizzate per favorire la permanenza delle donne nel mondo del lavoro. Mi auguro che sia abrogata».