“Le malattie non-Covid e la loro possibilità di cura, con posti letto ed interventi chirurgici, sono strettamente legate alle terapie intensive occupate dai malati Covid, almeno nella regione Lazio: fin quando questi posti rimarranno occupati non siamo in grado di fare interventi e ricoverare persone con altre malattie, a meno che non siano urgenti e in pericolo di vita. Questo significa che le già lunghe liste di attesa, prima della pandemia, saranno ancora più interminabili e che i pazienti non a rischio vita continueranno a soffrire per le loro patologie. Un problema sociale molto più grosso del Covid”. A dirlo Guido Coen Tirelli, segretario regionale dell’Anaao, che interpellato dalla Dire spiega quanto la pressione sui sistemi sanitari da parte dei soggetti colpiti dal Covid impatterà anche quando la pandemia sarà finita.
“Sono stati depotenziati o chiusi i reparti chirurgici, possiamo operare solo coloro che rientrano nella categoria A, ossia gli interventi urgenti e in pericolo di vita. Se un paziente deve capire se ha un tumore, che non mette a rischio la propria vita, deve attendere- spiega Tirelli- Non abbiamo più la terapia intensiva perché occupata dai malati Covid. Gli anestesisti non ci sono perché non sono stati assunti in Regione Lazio, mentre i medici a termine, assunti con il decreto Cura Italia ad inizio emergenza lo scorso anno, li stanno mandando a casa. Come Anaao abbiamo chiesto che quei contratti vengano prorogati”.
Un problema che non è solo dovuto ai posti letto ormai saturi delle terapie intensive, come segnalato da diverse settimane in molte Regioni d’Italia, oscillando tra il 30 e oltre il 40% dei disponibili, ma un insieme di condizioni, tra cui anche la mancanza di personale, come racconta Tirelli: “Un malato Covid può stare anche tre mesi in terapia intensiva, abbiamo alcuni pazienti operati ancora in sala operatoria, per la degenza, che non riusciamo a trasferire nel reparto. Molto del personale dedicato agli interventi chirurgici del Sant’Eugenio, per esempio, non è più in ospedale ma reclutato alla Nuvola di Fuksas, dove effettua il vaccino, anche se le dosi del siero non sono ancora cosi’ numerose da richiedere tutto quel personale”.
Ma esistono le strutture convenzionate con la sanità regionale, dove potrebbero essere curati i pazienti. “Esistono ma lo fanno parzialmente – denuncia Tirelli. Il Campus Biomedico ha un reparto Covid ma è troppo piccolo e dovrebbe riaprire il pronto soccorso chiuso alla seconda ondata”.
In sostanza le strutture accreditate non sono d’aiuto alla gestione sanitaria regionale. Ricevono però dei fondi per aver creato reparti Covid e gestire quei pazienti. “Diciamo che queste strutture non partecipano alle problematiche della Regione”.
C’è una previsione di ripristino delle attività dei reparti per le altre patologie? “Abbiamo pazienti che sono in attesa da anni perché la patologia, pur essendo gravosa e provocando sofferenza, non è urgente. I ritardi che già erano nelle liste di attesa si sommeranno ai disagi dovuti alla pandemia. L’unica via di uscita è vaccinare tutti al più presto, solo così si evitano le ospedalizzazioni; quindi la previsione è almeno altri sei mesi. Spingiamo affinché tutti facciano almeno una dose di vaccino come nel Regno Unito”.