«A 12 anni iniziai a fare una dieta: eliminai tutti i carboidrati, perché mi vedevo le gambe enormi, anche se non lo erano. Dimagrivo e mi sentivo onnipotente. Poi iniziai ad abbuffarmi e a vomitare tutto. Così persi tutto, un po’ per volta. Non avevo nessun interesse, nessun hobby, inventavo scuse per non uscire. La solitudine mi uccideva. Ora che ne sono fuori lo so: i disturbi alimentari sono una malattia. Per questo, se ne soffrite, dovete parlarne e farvi aiutare, senza alcuna vergogna».
Giorgia Bellini ha 23 anni. Nata a Perugia, oggi è una studentessa di scienze dell’alimentazione a Roma. Una ragazza come tante, che però ha trasformato il suo passato di dolore in una missione: diventare un punto di riferimento per chi soffre di un male difficile da capire, prima che da curare. Per questo ora ha un blog e un profilo Instagram con migliaia di follower, dove prova a diffondere la body positivity e la consapevolezza alimentare, parlando per lo più a quelle ragazzine come era lei, fragili e facilmente preda di diete pericolose. Nel 2019 si è anche raccontata in un libro, dal titolo inequivocabile, Reborn, nata due volte, prima di iniziare a fare incontri informativi nelle scuole.
Le persone che in Italia soffrono di disturbi del comportamento alimentare sono circa 3 milioni, di cui 2,3 milioni sono adolescenti. Si tratta di una vasta gamma di patologie da alterazione delle abitudini giornaliere legate ai pasti, associate a cause psicologiche, per lo più un’eccessiva preoccupazione per il peso e le forme del corpo. Questi disturbi rovinano gli organi interni e i denti, fanno gonfiare la faccia, fanno soffrire del colon irritabile. Molti poi abusano di lassativi, danneggiando anche seriamente l’intestino. Si arriva perfino al suicidio.
Un fenomeno, questo, in pericolosa ascesa nell’ultimo anno: da febbraio 2020 a febbraio 2021 si è registrato un +30% medio dei casi, con un abbassamento della fascia di età (13-16 anni) e un aumento delle diagnosi, soprattutto di anoressia nervosa. A lanciare l’allarme, a marzo, è stata l’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica, che ha sottolineato come le restrizioni per la pandemia, in particolare la chiusura delle scuole e i lockdown, hanno avuto effetti deleteri anche in tal senso su bambini e adolescenti.
«Quello che spesso non si capisce – racconta Giorgia a La Gazzetta di Roma – è che i disturbi alimentari possono riguardare davvero chiunque. Si tratta della nuova forma di depressione dei giovani, che colpisce prima di tutto chi è più fragile e sensibile. Io ero una bambina “normale”, eppure mi ammalai di quella che poi ho scoperto essere bulimia nervosa. Non si trattava di un capriccio, ma di un disagio psicologico vero e proprio. Gli esperti parlano dei disturbi alimentari come problemi multifattoriali, cioè che derivano da un insieme di cause. Nel mio caso a casa c’erano molti litigi, mentre io volevo essere perfetta a scuola e soffrivo per i giudizi negativi degli altri, soprattutto estetici. Iniziai a mangiare male, a vomitare e mi isolai completamente. A differenza dell’anoressia la cosa era meno evidente: non si vedeva dal peso, perché come quasi tutti i bulimici ero normopeso. Fino a 18 anni non dissi nulla ai miei genitori, non ne ero in grado».
Una volta maggiorenne, però, le cose per Giorgia cambiano. «Ho chiesto io stessa aiuto – ci dice – a un centro di cura in Umbria, perché mi resi conto che così non potevo andare avanti. Ci tengo a dire che oggi, come cinque anni fa, mancano le strutture e le cure per questi disturbi, soprattutto al sud. Poi molte ragazzine non se lo possono permettere, visto che molto è a pagamento. Io ho vissuto nella struttura per quattro mesi. Ogni giorno avevo colloqui con psicologi e nutrizionisti, con attività di gruppo, dove mi insegnarono nuovamente a mangiare e ad accettarmi per come sono, senza avere una visione distorta del mio corpo. Dopo questi quattro mesi, però, c’è voluto ancora tempo per uscire davvero dalla malattia: senza un costante lavoro personale non si guarisce davvero. Io solo un anno e mezzo fa (a 21 anni) ho avuto la forza di raccontare la mia storia a tutti».
«Oggi – aggiunge – la didattica a distanza e la totale incertezza sul futuro creano una vera e propria crisi d’identità della mia generazione, che si può facilmente sfogare sul cibo. Quello che voglio trasmettere è che guarire è possibile: molte ragazzine mi scrivono “non ce la faccio, sarò così a vita, non c’è via d’uscita”. Non è vero, bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto, senza alcuna paura di deludere i propri genitori e a quel punto uscirne è possibile. Da soli non si può».
Giorgia è convinta che la famiglia e la scuola abbiano un ruolo fondamentale nel percorso di cura. Dopo essere stata ospite in due istituti a Modena e Perugia è pronta a nuovi incontri. «Altre due scuole – conclude – hanno già detto che sono disponibili, non vedo l’ora di conoscere nuovi ragazzi e ragazze, anche se tramite Zoom, e raccontargli la mia esperienza».
Giacomo Andreoli