“La solitudine di chi resta”. L’abbandono e la sessualità femminile senza censure

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Il tumulto interiore di chi viene abbandonato ma anche la sessualità femminile, quella più scomoda, come tentativo di conforto, sono le tematiche principali della raccolta di versi “La solitudine di chi resta”, scritta, senza censure, in maniera cruda e volutamente provocatoria, dalla giovane Miriam Vanessa Gagino, non solo scrittrice ma anche attrice. L’opera è stata pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. «Trovo affascinante – spiega l’autrice che vive a Roma – il percorso emotivo e psicologico di un essere umano che viene abbandonato. Colui che viene lasciato e, quindi, colui che resta è forzato a mutare e lo fa controvoglia e anche goffamente. Navigare le acque torbide della solitudine piene di errori e di scoperte è quello che più mi interessa. Ci vuole coraggio per restare, soprattutto quando non hai fatto altro che scappare un’intera vita».

 

«Nel nome stesso della poeta – scrive Cosimo Damiano Damato nella Prefazione – tutto il presagio della sua poetica. Miriam è il nome ebraico della madre di Cristo, una ragazza su cui grava tutta la sofferenza del mondo, il suo corpo violato per una vocazione non richiesta, la condanna di una sofferenza senza fine, lo strappo di un figlio di carne e ossa che profuma ancora di latte. Vanessa, nessun etimo, nessuna maternità greca, ma puro inchiostro, parto cesareo del gioco di uno scrittore di Dublino, nessuna santa da festeggiare per questo Miriam Vanessa può riscrivere la linea della sua vita in quel palmo sinistro dove una farfalla bagnata balla una taranta cieca con un’ala sola».

 

Una raccolta di pensieri intensi, radicati, non di chi abbandona, ma di chi viene abbandonato. Di chi rimane solo con la sua solitudine, tra gli altri che vagano nella solitudine. Di chi vagabonda nel suo dolore, ma cerca un appiglio. Di chi viene spogliato nel corpo e nell’anima.

 

«Il libro – racconta l’autrice, appassionata di racconti brevi e saggistica, per lo più di natura sociale e femminista – nasce dall’urgenza di raccontare il viaggio di una donna nella depressione alla ricerca di bocche e orgasmi per trovar finalmente pace. La così scomoda sessualità femminile, poco discussa e sempre giudicata, la troviamo qui in versi e, mentre Bukowski passando di letto in letto ne ha fatto una carriera letteraria, una donna che si comporta nello stesso modo viene etichettata come ambigua».

 

L’ambiguità delle donne nei momenti di disperazione e solitudine perché mai dovrebbe essere silenziata e censurata? Questa domanda pervade l’intera opera, caratterizzata da componimenti scarni e anche violenti, mai ambigui ma, al contrario, disarmanti nella loro realtà. «Non mi reputo una persona di grande immaginazione – afferma, a tal riguardo, la scrittrice -. Scrivo quello che conosco. Spesso, gioco con i miei amici dicendo che è fin troppo chiaro, per chi mi conosce, a chi o a cosa sto facendo riferimento. Non ho paura di mettermi a nudo. Ecco, quello non mi spaventa affatto».

 

Una donna abbandonata, alle prese con la sua solitudine. «La ricetta che ho voluto utilizzare – è  un connubio di onestà e lingua tagliente, addirittura lasciando nomi di persone reali nei miei componimenti, quasi a volermi liberare del fardello dell’ambiguità e normalizzare il mio viaggio».

 

Federica Grisolia