Giuseppe Sanfilippo – Messina classe 1983 – è un autore, poeta e filosofo che fin da ragazzo coltiva la sua passione per l’indagine filosofica, per la scrittura e la poesia. Passioni che lo hanno visto muovere i suoi primi passi nel 2017, quando ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Il Canzoniere nei suoi istanti d’amore e del cuore, volume 1”, seguito poi da un secondo volume nel 2018, etrambi editi da Streetlib. A questi due volumi segue la pubblicazione della sua terza raccolta di poesie, dal titolo “Cuore Vibrante. Poesie”, pubblicata sempre con Streetlib nel 2019. In tutte le tre raccolte la figura femminile è messa sempre in risalto e al centro dell’attenzione. Non solamente come figura dell’amore, ma anche del rispetto, incontro e ascolto verso il Tu: ovvero la donna amata. Qui la donna racchiude un’importanza spirituale e quotidiana, laddove Sanfilippo supera una visione maschile, rigida, impostata, fredda, coercitiva, verso uno scenario femminile dove tutto si eleva ad accoglienza, condivisione, unità, uguaglianza, ascolto, rispetto. Aspetti che lo stesso valorizza e mette al centro della sua vita sentimentale e in particolare in una sua grande storia d’amore che Sanfilippo racconta nel suo libro “Lei. Quel profumo di primavera”, edito da Ilmiolibro e uscito nel 2020. Un racconto d’amore autobiografico, una storia d’amore che vuole essere un inno all’amore. La protagonista è Matilde, che probabilmente è la protagonista di molte sue opere poetiche.
“Lei. Quel profumo di primavera” è un libro che hai scritto un po’ di tempo fa. Perché rispolverare un testo tenuto nel cassetto e pubblicarlo proprio ora?
Voglio rispondere partendo dall’origine del mio rapporto con la scrittura. Ho iniziato a scrivere da ragazzino, avevo 12 o 13 anni. Inizialmente scrivevo dei piccoli racconti non autobiografici. Lì c’era l’idea, il sogno di pubblicare, ma non tanto di fare un libro o divenire uno scrittore o autore, bensì per il desiderio di comunicare, donare un messaggio. La scrittura autobiografica è arrivata qualche anno dopo, con i primi amori in particolare. Ho iniziato a scrivere delle poesie, che definivo più messaggi, per necessità di scrivere delle emozioni o sentimenti, che ho sentito il bisogno di condividere con la pubblicazione delle raccolte poetiche. Con “Lei. Quel primavera” è avvenuto un qualcosa di molto diverso. È un libro che ho scritto per il bisogno di raccontare la storia che avevo vissuto. La necessità di sfogarmi, liberarmi da quello che era stata la storia. Anche se in un momento molto difficile, perché non sempre è facile raccontare. Tuttavia, l’ho fatto e poi ho messo la bozza di questo libro in un cassetto e da lì ho proseguito con la mia vita. Passa il tempo, sento una nostalgia, non di questo amore che ho vissuto, ma di un qualcosa di cui sentivo il bisogno di raccontare. Poi un giorno mi capita di ascoltare la canzone “La faccia e il cuore” di Antonio Maggio e Gessica Notaro, può sembrare strano, ma in quel momento sento un primo bisogno di riprendere in mano “Lei”. A ciò si aggiunge una chiacchierata con un amico e così capisco che questa storia, grande storia d’amore, la devo donare al pubblico. Ho pensato che una storia può dare tanto, va raccontata, va fatta conoscere, perché la tua storia non è sola tua storia, ma è la storia di tanti altri.
Questo libro inizia raccontando l’incontro di un giovane (cioè tu) e un misterioso anziano. Chi è?
L’anziano del libro è una figura che è esistita per metà. Qui in un certo modo ho giocato un po’ con la realtà e la fantasia. Nella vita reale, in quel momento della vita, nel periodo in cui vivevo la storia, e anche quando è finita, c’erano molte persone a me vicino. Io sono una persona che costruisce dei rapporti con chiunque, non escludo nemmeno gli anziani, con tanti ho costruito amicizie. Anche se questo può sembrare strano, ma sono questa persona. Tuttavia, ho avuto vicino un amico, un anziano, e mi è stato accanto. C’è stato anche un anziano che mi ha detto: “Con il tuo buongiorno mi hai fatto un bel regalo, mi hai regalato una bella giornata.” Questa parte è reale, una parte autobiografica che ho cercato di riportare nel libro. In ogni caso, e qui entro nella parte non autobiografica, nel libro voglio anche essere me stesso, la mia persona dopo la storia. Qui l’anziano rappresenta una figura che acquista la saggezza, quella che nasce solo attraverso l’esperienza o vissuto. L’anziano è simbolo del tempo, quel tempo che ti fa conoscere, comprendere. L’anziano nel libro è simbolo di un percorso passato, che raccoglie tanto da questo. È un dialogo con me stesso, che fa il resoconto di ciò che era l’amore.
Giuseppe, tu metti molto al centro sempre la figura femminile, l’importanza dell’aver rispetto verso la donna, e anche in “Lei” questo non manca. Qual è il messaggio che vuoi dare al mondo?
Voglio evidenziare un aspetto importante della mia persona e non so nemmeno come ho fatto a metterla a fuoco. Questo aspetto è il grande amore. Con “grande amore” non intendo solo il legame con la protagonista del libro. Prima di una donna, o meglio prima che arrivi una Lei, c’è un grande amore che si genera e che puoi generare solo dentro di te: è l’amore per la vita. Anche la vita è un grande amore e il tutto deve partire da ciò che senti o meglio dal bisogno di ciò che l’anima reclama. Il tutto funziona con un incontro con te stesso, poi solo dopo incontri l’altro. Giungere a ciò significa raggiungere il grande amore per la vita. Un grande amore è volerti bene, e se vuoi volere bene a te stesso, vuoi bene anche agli altri, al mondo e ti prepari anche a essere l’uomo per la tua donna. Avere o vivere un grande amore significa mettere tutto in discussione, sottoporre a critica anche quello che ti viene insegnato, il contesto in cui sei nato. Grande amore significa apertura. E l’apertura porta a migliorare, avere rispetto dell’altra. Essere capaci di lasciare andare, se un amore non è più corrisposto o se l’altra decide di rompere questo amore. Allora, se hai un grande amore, la lasci stare, ma devi avere un grande amore dentro di te, per la vita e anche per la donna che ami.
Tu hai scritto anche un altro testo, in cui non manca la tua autobiografia e all’interno dello stesso c’è anche un saggio filosofico, in cui manifesti la tua passione per l’indagine filosofica, l’amore per la filosofia. Sto parlando ovviamente de “La Filobiografia. Teoria e pratica dell’incontrare per incontrarsi”, testo edito sempre da Streetlib. Si parla di una teoria, filosofia pratica dell’anima, ma metti al centro sempre l’importanza dell’incontro. C’è un legame tra il Giuseppe Filosofo e il Giuseppe poeta, autore o scrittore di racconti, romanzi?
La filobiografia è una teoria filosofica che ho iniziato a sviluppare da piccolo. Non ne voglio parlare qui, poiché si rischierebbe di far confusione. Tuttavia, è una teoria ma allo tempo una pratica che ho messo in funzione, anche per costruire il grande amore, intendendo un sentimento in termini universali o generali. Mi sento di dire, e lo dico, che l’esperienza, la storia della tua vita, come la biografia della tua famiglia, influenzano molto la tua vita. Questi fattori possono condurti non dico a una vita sbagliata, ma alla non occasione di costruire una vita migliore. Se io non avessi seguito la mia teoria e pratica della filobiografia, sarei stato privo del mio sentimento verso la vita. Non avrei detto che la vita è un grande amore e allo stesso tempo se non avessi seguito la teoria e pratica della filobiografia non sarei diventato l’uomo giusto per Matilde (la protagonista di Lei) e nemmeno un uomo giusto per altre donne.
Hai dichiarato che “Lei. Quel profumo di primavera” è un testo che sta andando molto bene. Credo che questo sia una soddisfazione grande, ma la protagonista, questa Matilde, è la stessa ragazza che racconti nelle tue poesie? C’è una differenza tra le poesie e il racconto?
Sì! Prima di tutto voglio esprimere un grande “Grazie” a tutta l’Italia (e non solo), perchè il libro sta andando molto bene nel nostro Paese, ma anche oltre, in Spagna, Francia, Svizzera, vendendo qualcosa negli Stati Uniti e di recente anche in Germania. Credo che siano italiani (anche perché il libro è solo in lingua italiana) e ne sono contentissimo. Per rispondere alla domanda, in molte liriche sì, è la stessa ragazza. C’è una differenza, per me la poesia è un momento in cui esprimo frammenti, sentimenti belli o brutti che normalmente non esprimo per timidezza. Mentre nel romanzo racconto direttamente la storia, in modo più profondo rispetto alle poesie.
Il libro vede anche una bellissima copertina e delle introduzioni. Vuoi dire qualcosa su questo?
Voglio dire solamente che la copertina è stata disegnata apposta da un’amica che si chiama Clizia Franceschini e all’interno c’è l’introduzione di un’altra mia amica sceneggiatrice, Lucia Lucia Braccalenti e c’è un pensiero espresso da Stefano Duranti Poccetti. Ho avuto il piacere e onore di avere con me questi amici per il libro.