«Allo stato attuale tutti i vaccini sono più o meno efficaci, con effetti collaterali fondamentalmente non importanti. Astrazeneca recentemente ha evidenziato tossicità più impegnative in rarissimi casi. Io ad alcuni soggetti, con particolari storie cliniche, ho sconsigliato questo vaccino, ma solo per estrema precauzione, visto che non ci sono ancora abbastanza dati. Ritengo che allo stato delle cose sarebbe importante capire perché si sono verificate queste tossicità gravi, caratterizzate da livelli anomali di piastrine e trombosi. Ho un’idea, di cui poco si parla e che potrebbe essere condivisa da altri esperti. Ci possiamo confrontare, può aiutare a salvare delle vite».
Angelo Michele Carella è un ematologo, cioè un esperto di malattie del sangue, di fama internazionale. È stato direttore della Divisione di Ematologia e Centro Trapianti di Midollo all’Ospedale San Martino di Genova. Ora è consulente della Clinica Paideia a Roma e della Casa di Cura La Madonnina a Milano. Il suo è un curriculum prestigioso, avvalorato da 280 pubblicazioni sulle più importanti riviste mondiali, tra cui uno studio molto citato sulla Leucemia Acuta Promielocitica.
Dopo una settimana caotica, in cui tanto si è parlato del vaccino anglo-svedese, ora raccomandato solo a chi ha più di 60 anni in tutta Italia, abbiamo chiesto all’esperto alcuni chiarimenti sui vaccini e i possibili casi avversi.
Professore ora molti hanno paura di vaccinarsi. Ci rassicura: perché è importante al di là di quanto abbiamo appreso su Astrazeneca?
«Per fare un vaccino di solito ci vogliono dai 3 ai 5 anni, necessari a fare tutte le valutazioni farmodinamiche e farmacologiche di tossicità ed efficacia. In questo caso le case farmaceutiche sono state spinte a proporre dei vaccini per cercare di arginare la pandemia che si stava espandendo in modo incredibile e questo ha portato ad una riduzione dei tempi di valutazione dei vaccini. Forse se ci fosse stato il tempo, con una sperimentazione convenzionale e se gli effetti collaterali fossero stati valutabili, probabilmente avremmo potuto capire perché potevano avvenire questi fenomeni. Dobbiamo vaccinarci, perché è l’unico modo per interrompere la crisi sanitaria ed economica. Gli effetti, lo vediamo nei Paesi più avanti di noi nelle somministrazioni, sono molto positivi. I vari vaccini li conosciamo, ma non abbiamo ancora l’esperienza clinica necessaria per evitare i casi rarissimi».
Per chi soffre di ipertensione o chi ha avuto tumori per cui magari non è in cura da qualche tempo (escludendo quelle patologie onco-ematologiche ed emoglobinopatie per cui sono già previsti Pfzer e Moderna), la vaccinazione con Astrazeneca è un problema?
«No, secondo me non c’è problema, credo che questi soggetti si possano vaccinare comunque da tutto quello che sappiamo. Per l’ipertensione direi di approfondire di più in casi gravi, magari con fenomeni cosiddetti vascolopatici. In ogni caso spetta al medico di base (che conosce bene il singolo paziente) e agli specialisti del settore decidere chi deve fare che cosa».
Per chi ha problemi di coagulazione o livelli bassi di piastrine?
«In generale, essendo rarissimi i casi di reazione avversa con Astrazeneca, non ci dovrebbero essere motivazioni per escludere queste persone. Ora, se le alterazioni nel numero di piastrine o nella coagulazione sono molto importanti, ci sono grossi problemi ematologici. Allora bisogna studiare il paziente. In questo caso io consiglio prudenza e un’analisi con medici e specialisti prima di procedere a ogni vaccino, magari con loro si può essere indirizzati su un siero rispetto a un altro. Tuttavia non abbiamo ancora abbastanza dati per dire che in questi casi c’è un vero e proprio rischio di effetti collaterali gravi. Ma per chi ha problemi modesti di coagulazione e piastrine, o li ha avuti in passato, io dico: vaccinatevi tranquillamente, anche con Astrazeneca. A me non risulta ci siano problemi in tal senso, in base agli elementi che abbiamo. Poi sull’ipotesi che dopo i 60 anni con il vaccino si possa avere un effetto addirittura preventivo della trombosi, direi che non mi convince».
E invece chi ha una predisposizione genetica importante alla trombosi cosa può fare?
«Rientra tra quei casi ematologici che hanno bisogno di approfondimento con medici e specialisti. Potrebbe rischiare, ma non lo sappiamo con certezza. Io per esempio solo a chi avuto due/tre aborti, grossi problemi vascolari e alcuni esami che predisponevano alla trombosi ho detto di evitare Astrazeneca, per precauzione. In ogni caso, poi, la singola persona ha sfaccettature diverse che potrebbero orientare verso un vaccino o un altro. Comunque dobbiamo capire meglio le cause delle trombosi».
A proposito di questo: lei che idea si è fatto delle trombosi associate ad Astrazeneca?
«Dobbiamo individuare le malattie dietro questi casi: è importante e ancora se ne parla poco. Io penso e l’ho scritto anche ad alcune persone che hanno un ruolo importante nella sanità italiana, che dovremmo valutare la possibilità che si tratti di una malattia che conosciamo: porpora trombotica trombocitopenica o sindrome di Moschcowitz. Nella mia lunga carriera ho visto diversi casi di questa sindrome ed è caratterizzata da una carenza di piastrine associata aduna trombosi, una cosa rara perché di solito o c’è l’uno o c’è l’altro. Questa sindrome potrebbe riguardare la maggior parte dei casi dei pazienti che hanno i rarissimi effetti collaterali di grave entità dopo la somministrazione di Astrazeneca. In generale può essere infatti determinata da tumori o infezioni, ma anche farmaci. C’è poi una “cugina” di questa sindrome, la Cid (coagulazione intravascolare disseminata), dove si hanno i globuli rossi in periferia rosicchiati, gli schistociti. Quando un paziente vaccinato entro una decina di giorni ha cefalee violente, sospetto di trombosi celebrale o in altri organi, oppure la caduta delle piastrine, la prima cosa che si potrebbe fare è un esame chiamato “striscio di sangue periferico”, quindi l’emocromo e il “dosaggio dell’enzima Adamts 13”, che si fa in tutti i grossi ospedali e i centri trasfusionali. Se si trovano livelli molto bassi di Adamts, si fa una diagnosi di Moschcowitz o Cid e si può fare la plasmaferesi, che salva la vita del paziente. Ad eccezione di casi drammatici, che partono da casa in condizioni già troppo gravi (per esempio con un’emorragia celebrale in corso), in chi comincia ad avere dei sintomi questa potrebbe essere una buona strada da seguire. Queste sono idee che mi vengono per la mia esperienza di quarant’anni quale ematologo, credo non si possa escludere questa sindrome e se confermata con questa diagnosi si può salvare la vita dei pazienti. Poi ovviamente bisogna capire perché viene la sindrome. Il disordine coagulativo potrebbe attivarsi per infezioni, farmaci, malattie ematologiche. Ma è anche possibile che la struttura del vaccino (adenovirus a vettore virale) possa attivare processi che portano al Moschcowitz. Ovviamente non ho abbastanza elementi per confermare nulla. Dico solo che se individuassimo la natura del disturbo che si realizza in questi casi già saremmo un passo avanti».
Ha parlato di questa ipotesi anche con gli ospedali?
«In un importante ospedale italiano abbiamo discusso di questo problema. E le dico di più: avevano una paziente con un basso livello di piastrine, cefalea e inizio di trombosi nella settimana successiva alla somministrazione di Astrazeneca. Hanno fatto il dosaggio di Admts 13, che era a zero. Diagnosticata la sindrome di Moschcowitz, è stata fatta la plasmaferesi. Adesso la paziente è ancora ricoverata, ma sta meglio, fuori dal pericolo della trombosi. Apriamo un dibattito con i virologi ed ematologi/coagulologi, per approfondire la possibilità che si realizzi la sindrome di Moschcowitz in casi rarissimi. Se dimostrassimo qualche correlazione il Comitato tecnico scientifico potrebbe dare suggerimenti ad hoc a livello nazionale».
Intanto arriverà tra una settimana il vaccino di Jhonson and Jhonson. La tipologia di siero è simile ad Astrazeneca (vettore virale), anche se in una sola dose. Già si parla di qualche caso di trombosi che Ema sta studiando. Ci si deve preoccupare? Sotto ai trent’anni, per chi è in ottima salute, Cambridge parla di effetti collaterali di Astrazeneca leggermente superiori ai rischi del Covid, varrà anche per Johnson and Johnson?
«Innanzitutto va detto che il vantaggio di Johnson and Johnson è rilevante: una sola dose invece di due è qualcosa che può fare la differenza. Poi non ci sono elementi per dire che questo vaccino possa essere un problema per alcuni specifici soggetti. Come le dicevo le trombosi non sono per forza associabili al tipo di prodotto. Inoltre Astrazeneca e Johnson and Johnson, al di là del tipo di metodologia utilizzata, hanno delle differenze che potrebbero anche essere decisive».
Giacomo Andreoli