Rosa Cacace, in arte Rosaka, realizza “Mamma Roma”, opera straordinaria che sarà esposta a Roma insieme ad altri capolavori, dal 26 Novembre all’8 Dicembre, grazie alla mostra intitolata “Interazioni narrative”, organizzata e curata dal direttore artistico Michele Crocitto. Realizzato con l’intento di ricordare Pier Paolo Pasolini, uomo dalle mille doti, regista, attore, poeta, scrittore che si distinse per la sua versatilità, il titolo del quadro allude al film uscito nel 1962 che ha visto come protagonista la nota attrice Anna Magnani. Assistendo al matrimonio dell’uomo che sinora l’ha sfruttata, Carmine, con una contadina, Mamma Roma (Anna Magnani) matura la decisione di ritirarsi a vita privata, di metter su un banco di ortolana e di dedicarsi al figliolo, Ettore, un selvatico ragazzo di diciassette anni che se ne infischia della madre e ha già la vocazione del ladruncolo. Vuole dargli un’educazione, seguirlo e fargli intraprendere il percorso migliore. I sogni di Mamma Roma non si realizzano. Carmine torna, stanco della moglie contadina e la costringe a riprendere quella vita così poco dignitosa. Prova a ribellarsi ma lui la colpisce nel punto più debole: se lei si rifiuta di ascoltarlo, sarà costretto a rivelare al figlio il suo lurido mestiere. Poveraccia si arrende, torna a battere il marciapiede, mentre Ettore, imbrancatosi con gli altri ragazzi del quartiere, i quali sono tutt’altro che quegli stinchi di santo che sperava Mamma Roma, rubacchia e si mette con una sgualdrinella. Ettore viene presto a sapere della professione della madre; per vendicarsene, lascia il lavoro e a poco a poco precipita nel teppismo. Arrestato mentre tenta di rubare una radiolina in un ospedale, finisce in prigione col solito attacco di tubercolosi fulminante. In preda a una crisi di delirio, muore legato sul letto di contenzione invocando la madre. Mamma Roma, che ha seguito sconvolta, e senza capire, le fasi del naufragio del figlio, viene a sapere della morte al mercato. Nel suo grido di dolore c’è la disperazione della creatura calpestata dall’ingiustizia della vita. Il film vuole essere qui, in questa presa di coscienza, da parte della donna, della propria parte di responsabilità e della incapacità di comunicare la propria angoscia. Pasolini procede su un doppio binario: nel denunciare le colpe della società borghese e nel condannare, giustificandolo con la pietà, il salto di classe al quale aspira Mamma Roma, alla quale sembra voler far colpa di mirare troppo in alto, dal sottoproletariato alla piccola borghesia, di ignorare le “norme del suo destino”. Mamma Roma ha scompensi, zone grigie, intemperanze verbali provocatorie. Ma è un film come non se ne vedono sempre: si potrà non amare la vicenda, eppure sarà difficile dimenticare gli antichi misteriosi ruderi della sua periferia, i carrelli a procedere sui lunghi monologhi della Magnani, la battuta della ragazza che segue i suoi violentatori con la passiva rassegnazione di un animale, il giovane che serve i pasti in trattoria quasi danzando. Perché Rosa sceglie di ricordare questo film? Per trovare la risposta è necessario rendere chiaro cosa vuole comunicare, cosa predilige nella maggior parte delle sue opere. Gli amanti dell’arte che hanno avuto la fortuna di conoscere Rosa, artista tarantina che si espone a 360 gradi mostrando le diverse sfaccettature della sua personalità, in molte occasioni hanno potuto soffermarsi sul suo impegno sociale. La si può definire un’attivista femminista. Basti pensare a capolavori come “Don’t kiss me”, “Colette ne veut plus être Claudine”. E “Mamma Roma” appartiene proprio a questa categoria di dipinti, che hanno per soggetto delle donne ambiziose, desiderose di affermarsi. L’artista, dunque, non mette in risalto solamente la miseria che deriva da questo mondo ma anche il forte vitalismo e l’autenticità che caratterizza la donna protagonista. Perché se è vero che nella società borghese sono il benessere e le buone maniere a connotare una persona, è anche vero che nella maggior parte dei casi queste risultano essere una semplice facciata, un’ipocrisia costruita su misura, e non rivelano alcunché di autentico, di reale. Così, vuole rappresentare le emozioni contradditorie di questa figura femminile che incarna perfettamente l’ambivalenza dell’essere umano: la forza che si alterna alla fragilità, la voglia di superare barriere e ostacoli imposti da un mondo borghese e maschilista e la paura che la costringe ad arrendersi. Rosa Cacace vuole continuare l’opera di denuncia avviata da Pasolini: oltre che agli altri personaggi altrettanto umili e sottoproletari, è anche alla prostituta che va l’attenzione e l’affetto di Pasolini, non in quanto personaggio positivo ma in quanto personaggio che impersona una delle peggiori vittime dell’umiliazione e dello sfruttamento. Il personaggio della Magnani rappresenta il tentativo di numerose donne che cercavano con tutte le loro forze di combattere l’ingiustizia. Il talento dell’artista sta proprio nel riportarci in quell’epoca che alle volte ci sembra così lontana ma, in realtà, sono passati solo sessant’anni. Infatti, l’accostamento dei colori sembra richiamare quell’aspetto vintage che ci aspetteremmo di trovare negli anni 60’. I due personaggi sono inseriti all’interno di un prospettico Colosseo, simbolo indiscusso di Roma. L’attenzione ricade proprio su Mamma Roma, rappresentata accovacciata in una posa di dolore ai piedi del figlio morente, visto anche lui in una visione prospettica. Rosa predilige il colore rosso nel dipingere la figura femminile, con lo scopo di simboleggiare la passione del personaggio e allo stesso tempo la tragicità della sua vita.
a cura di Andrea Lacoppola