E’ stato un onore avere nostro ospite in radio Renato Zero e condividere con lui alcuni momenti chiave di questi ultimi mesi. Abbiamo avuto il piacere di riascoltare i suoi ultimi tre singoli tratti dal disco Zero Settanta, opera che ha visto la luce durante il periodo dello scorso lockdown nazionale e che al suo interno contiene ben tre album inediti, presentati secondo un ordine cronologico invertito, vale a dire dal Volume Tre (pubblicato nel giorno del suo Settantesimo compleanno) al Volume Uno. In questo modo l’artista ha certamente voluto ringraziare e omaggiare il suo fedele pubblico, ricordando il famoso conto alla rovescia dedicatogli all’inizio di ogni suo concerto.
Il primo brano che ascoltiamo si intitola “C’è”. Questa canzone è una vera e propria dichiarazione d’amore per l’Universo, dal cui testo emerge una immensa forza emotiva: quell’attitudine a non voler trascurare i dettagli nei rapporti con gli altri, perché sono questi a fare davvero la differenza. Renato Zero sottolinea più volte l’importanza nell’essere assidui a coltivare le amicizie e i rapporti più intimi, facendoci riflettere su tutti i sentimenti. Dall’amore, con le sue molteplici sfaccettature, alla passione e alla tenerezza. Ci soffermiamo poi sulla nostalgia, un sentimento spesso interpretato in maniera negativa perché associato ad una mancanza, a qualcosa che è stato perduto. Ma Renato ci dice che non sempre quella nostalgia fa male perché, a volte, è attraverso quelle pagine di vita che troviamo conforto e stabilità ed è nostro dovere trasferire quel benessere a tutti, in particolare alle nuove generazioni.
Proseguiamo il nostro viaggio con l’ascolto del brano “L’angelo ferito”, che potremmo definire anch’esso come un atto d’amore verso il nostro Pianeta. In particolare, questa canzone ci fa riflettere in maniera profonda sul senso di impotenza e inadeguatezza che l’uomo si è trovato a vivere durante la pandemia, ma al contempo alla forza e alla capacità che ha saputo tirar fuori nel riadattarsi ad una realtà improvvisamente stravolta, continuando a lottare per i propri ideali. Renato, da “raccoglitore di anime” quale è, si riferisce principalmente ai nuovi talenti, rivolgendo loro l’invito a impegnarsi ogni giorno a fare sempre meglio per garantirsi la cosiddetta “statura”. Il problema di questi giovani è che spesso non vengono accuditi e tutelati nella maniera più opportuna e il rischio è che si perdano nel “mucchio” e non riescano ad emergere.
Anche ne “L’amore sublime” resta centrale il concetto della sperimentazione. Se da un lato è vero che i giovani devono fare esperienza, suonare nelle cantine e macinare kilometri su kilometri, è altrettanto vero che dovrebbero conoscere meglio la storia dei padri della musica come Giorgio Gaber, Fabrizio De André e Paolo Conte, solo per citarne alcuni. L’invito dell’artista è quindi di ispirarsi a questi grandi maestri della musica degli anni ’60 e ’70 e di verificare le proprie capacità cercando di apprendere quanto più possibile.
Ricordando le orde di ragazzini che lo inseguivano, di generazione in generazione, abbiamo chiesto a Renato Zero com’è il suo rapporto con il pubblico e cosa gli ha regalato in tutti questi anni di dedizione e stima. Lui ci ha parlato di un continuo scambio alla pari, di un coinvolgimento totale, come se si trattasse di una grande famiglia nella quale ha il ruolo di un fratello maggiore, colui che ha il compito di elargire consigli, di indicare la strada e, in qualche modo, di rendere la vita degli altri più semplice. Perché è proprio quella consapevolezza di essere scelti che ci rende più forti e sicuri, anche in periodi di desolazione e paura, come quello che stiamo vivendo a causa del Covid.
Ringraziando Renato Zero per essere stato nostro ospite, terminiamo il nostro percorso riascoltando “I migliori anni della nostra vita”, oggi più che mai simbolo di speranza e rinascita.