Sono solo 4mila su oltre 2 milioni di professionisti. 1.350 quelle iscritte all’Albo dei commercialisti (32% del totale). Più diffuse al Nord che al Centro Sud, alla fine del 2021 occupavano quasi 10 mila addetti. Costituite in media da 2,8 soci, occupano 4,2 dipendenti per un totale di 7 addetti. Per la categoria servono misure fiscali per rilanciarle
Poche e piccole, con pochi dipendenti e un basso valore della produzione, più diffuse al Nord (Nord-est l’1,6% e Nord-Ovest 1,5% del totale degli iscritti) che al Centro (0,8%) e al Sud (0,5%). E’ la fotografia delle circa 1.350 società tra professionisti iscritte alla fine dell’anno all’Albo dei commercialisti, scattata dalla Fondazione nazionale dei commercialisti che – assieme al Consiglio nazionale della categoria – ha realizzato la ricerca “Il ruolo delle STP nell’evoluzione della professione di commercialista”.
Le STP di commercialisti equivalgono al 32% delle poco più di 4mila presenti tra gli oltre due milioni di professionisti italiani. Numeri che, ad ormai più di dieci anni dalla loro introduzione con la Legge 183/2011 (art. 10), certificano la loro scarsa diffusione nel mondo delle libere professioni.
Secondo la ricerca della Fondazione nazionale, le STP dei Commercialisti occupano circa 10 mila addetti con un valore della produzione totale stimato per il 2020 pari a 742 milioni di euro. Si tratta del 4,2% del totale addetti occupati in tutti gli studi professionali dei Commercialisti e del 6,2% del valore totale generato dagli stessi.
L’analisi si sofferma in particolare sui dati di bilancio delle più di 900 Stp costituite in forma di società di capitali. Da questa fotografia emerge il quadro di una società tra commercialisti di dimensioni mediamente molto piccole e con uno scarso ricorso al capitale. Basti pensare che ogni società è costituita mediamente da 2,8 soci ed occupa 4,2 dipendenti per un totale di 7 addetti. Inoltre, il valore della produzione per singola società è pari a poco meno di 550 mila euro. Solo 7 società hanno più di dieci soci, mentre solo il 7,9% ha più di 10 dipendenti e solo l’8,8% supera il milione di ricavi.
Le Stp, oltre ad essere poche e piccole, sono anche molto eterogenee rappresentando, di fatto, un sistema di studi professionali eccessivamente frammentato, caratterizzato, oltre che dal tradizionale prevalere del modello atomistico della professione rappresentato dallo studio individuale, dalla compresenza di modelli piuttosto eterogenei in cui la ricerca di economie di scala e/o di specializzazione conduce a forme di aggregazione professionale prevalentemente ibride. La maggior parte delle società di capitali utilizzate a fini strumentali così come la gran parte degli studi associati sono rimasti estranei al fenomeno delle Stp.
Tra le principali criticità messe in evidenza dallo studio, si segnalano la mancanza di una disciplina fiscale e la carenza in più parti della disciplina giuridica. Tale deficit normativo ha determinato un’incertezza di fondo che impedisce una corretta valutazione dei costi e dei benefici dello strumento, bloccando di fatto il processo evolutivo della professione. Secondo la ricerca dei commercialisti, bisognerebbe prendere in seria considerazione le analisi sui limiti e sui vincoli del modello societario delle Stp disegnato dalla legge 183/2011 e provvedere alla loro rimozione per rendere questo modello più appetibile per i Commercialisti e, in generale, per le professioni liberali. Proprio alle STP e’ dedicato uno dei punti qualificanti del manifesto del Consiglio nazionale dei commercialisti per la riforma fiscale. La proposta della categoria è quella di prevedere la neutralità fiscale delle operazioni di riorganizzazione delle attività di lavoro autonomo e determinazione opzionale per cassa dei redditi delle STP di capitali.