Al centrosinistra è quasi riuscita l’impresa di oscurare le divisioni degli avversari, alle prese con la candidatura ingombrante di Silvio Berlusconi Prima un cinguettio dei tre leader nello stesso testo, escamotage social studiato per non offrire il fianco a polemiche. Nei 140 caratteri nessun nome, e soprattutto non ‘il’ nome e cognome, Draghi Mario. Poi la spaccatura plateale, a suon di veline, con la coalizione divisa sul candidato da sostenere per il Colle, e diviso soprattutto il M5s. Da una parte Conte, che da’ voce a quella fazione dei gruppi parlamentari convinta che Draghi debba restare a Palazzo Chigi. Dall’altra Luigi Di Maio, favorevole a preservare Draghi, cioè fuor di metafora, favorevole ad eleggerlo al Colle.
Al centrosinistra che oggi ha tenuto il primo vero vertice in vista del voto per il Quirinale è quasi riuscita l’impresa di oscurare le divisioni degli avversari, alle prese con la candidatura ingombrante di Silvio Berlusconi. E dire che le premesse per un esito unitario – si dice così in questi casi – c’erano tutte. Giuseppe Conte che di prima mattina apre le porte della sua casa in via di Fontanella Borghese, sul tavolo caffe’ e cornetti. Enrico Letta e Roberto Speranza, ospiti cordiali e sorridenti. Tutto bello, anche dopo la riunione, con l’ensemble social, in 140 caratteri.
L’idillio dura fino ai primi lanci di agenzia che trasportano i rumor dei M5s: per Conte, Draghi deve restare al governo. “Ma come, ci eravamo detti niente nomi, e quello fa trapelare il no a Draghi al Colle?”, raccontano sia sbottato Enrico Letta. ‘Quello’ e’ Rocco Casalino, il portavoce dell’ex premier. A quanto risulta alla Dire, Enrico Letta avrebbe afferrato il telefono e si sarebbe lamentato direttamente con Conte. Dal punto di vista del Pd, le veline pentastellate hanno arrecato un danno non trascurabile alla coalizione, costringendola a segnare il passo nella marcia di avvicinamento al giorno fatidico.
Nei piani del centrosinistra, infatti, era il centrodestra che doveva andare in frantumi, squassato dalla mission impossible di Berlusconi, osteggiata dalle ambizioni di Salvini e Meloni di proporre nomi alternativi. Con la destra divisa, si sarebbe potuto azzerare il segnapunti e iniziare daccapo. Così, invece, bisogna rinviare.
Resta la divergenza di fondo: Letta e Speranza sono favorevoli all’elezione di Draghi al Quirinale. Anzi la giudicano come una premessa a quel patto di legislatura che consentirebbe di dar vita a un nuovo governo. Conte, invece, preconizza per il premier un futuro a Palazzo Chigi, come una specie di contrappasso per chi lo ha defenestrato dalla sede del governo. Nel confronto a Fontanella Borghese le due ali del centrosinistra hanno raggiunto il compromesso di tacitare la questione e darsi appuntamento a quando la ‘mucca’ Berlusconi si sara’ tolta dal corridoio verso il Colle. Ma se il Cav facesse seguire al personale passo indietro un passo avanti nella direzione di Draghi?
A questo punto – ragionano nel centrosinistra – farebbe un favore a Conte e ai M5s anti-Draghi, perché un Draghi sponsorizzato da Berlusconi sarebbe per loro ancor più indigeribile. In ogni caso il Cavaliere ha tolto d’impaccio tutti, facendo slittare il vertice di centrodestra. Se ne parla forse nel fine settimana.
Nel frattempo, i partiti proseguono il lavorio sottotraccia per costruire un governo che accompagni l’elezione di Draghi al Quirinale. Sono due le opzioni in campo, e il discrimine e’ la partecipazione o meno della Lega. La prima opzione prevede un governo di larghe intese a guida tecnica, con a capo un ministro espressione dell’esecutivo in carica. Colao o Cartabia sono tra i nomi più gettonati.
Se la Lega ci stesse, potrebbero entrare anche i segretari o personalita’ di peso politico, come vuole Salvini. Enrico Letta ha espresso dubbi, ma non ha chiuso: “Parliamo di tutto”. Se la partita sul Colle portasse a una divaricazione insanabile con il Carroccio, potrebbe partire un esecutivo a ‘maggioranza Ursula’, da Leu a Forza Italia. In questo caso il nome a cui guardano molti parlamentari e’ quello del ministro della Cultura Dario Franceschini. Alla Camera circolano anche i primi calcoli sull’ampiezza della relativa maggioranza, che sulla carta a Montecitorio avrebbe 440 voti e 234 a Palazzo Madama. Numeri tali da sopportare anche una vasta area di dissenso nel M5s. La stessa maggioranza, integrata dai grandi elettori delegati dalle regioni, eleggerebbe Draghi. Forse gia’ dalla prima votazione.
fonte agenzia dire.it