L’attività sportiva adattata, con le sue caratteristiche ricreative, terapeutiche e competitive, può essere un motore attraverso il quale
sviluppare e mantenere il funzionamento fisico e psicologico, promuovere una buona salute e migliorare la qualità della vita di bambini e ragazzi con disabilità, anche dal punto di vista ludico e sociale. Questo il filo conduttore su cui si è sviluppato il corso di aggiornamento gratuito ‘
Attività motoria adattata in età pediatrica: il ruolo del Comitato Italiano Paralimpico (Cip)‘, organizzato da Omceo Roma e svoltosi sabato scorso nella Capitale. Un evento, molto partecipato, che ha voluto aggiornare i medici, in particolare i pediatri, sull’importanza di promuovere lo sport tra bambini e ragazzi con disabilità, “con l’obiettivo di dimostrare quanto lo
sport non vada inteso solo come attività finalizzata alla
riabilitazione, ma come un
momento ludico e di integrazione che offre ai ragazzi grandi opportunità di crescita e
socializzazione imparando a utilizzare e implementare le risorse fisiche e psichiche che si hanno senza rincorrere ciò che non si ha. Finalità da promuovere non solo tra coloro che sono portatori di una disabilità ma fra tutti i giovani dei nostri tempi, troppo spesso impegnati nella ricerca di ciò che non hanno senza accorgersi e valorizzare ciò che hanno”, spiega
Valentina Grimaldi, pediatra di famiglia-psicoterapeuta, consigliera Omceo Roma e coordinatrice del corso.
Tra i presenti all’evento anche la dottoressa Liliana La Sala, direttore medico Ufficio 9 DG Prevenzione sanitaria, tutela salute della donna e dei soggetti vulnerabili del ministero della Salute, che ha aperto il convegno ed ha molto apprezzato l’iniziativa.
E’ esperienza comune che l’esercizio e la pratica sportiva migliorino la qualità della vita, l’accettazione sociale, il funzionamento fisico e abbiano un impatto positivo dal punto di vista emotivo e sociale sui ragazzi, ma a dimostrarlo sono anche i risultati di uno studio pilota sulle attività sportive nelle cure palliative pediatriche, realizzato dall’università degli studi di Padova, illustrato durante il corso da Teresa Mazzone, pediatra di libera scelta della Asl Roma 1 e membro della commissione Pediatria dell’Omceo Roma.
Lo studio, realizzato su 250 pazienti oncologici e non tra 0 e 23 anni in hospice e in assistenza domiciliare integrata, mette in evidenza come lo sport sia un’ esperienza positiva sia per i bambini che necessitano di cure palliative, sia per i loro genitori e come i bambini incoraggino gli altri bambini a fare sport e possano così trovare il lato positivo anche nelle difficoltà. Inoltre lo studio evidenzia che l’uso di metodi standardizzati come ICF-CY (Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute), ha dimostrato che gravi disabilità motorie non limitano l’accessibilità sportiva e che l’ ICF-CY è uno strumento utile per indirizzare meglio la tipologia di sport da proporre in base all’autonomia residua ed alle capacità relazionali.
A ognuno il suo sport. “I relatori intervenuti durante il corso hanno spiegato come lo sport da praticare debba essere scelto in base alle esigenze e alle caratteristiche del ragazzo con disabilità, la cui idoneità sportiva deve essere certificata da un medico dello sport che ha competenze nel campo- ha proseguito Grimaldi– e che l’attività debba essere poi seguita da personale esperto e qualificato”. Fondamentale poi “far vivere lo sport come un’attività divertente, piacevole e non presentarlo solo come qualcosa che ‘fa bene’ o peggio un obbligo- continua Grimaldi- suggerendo alle famiglie di evitare di spingere i ragazzi all’eccessiva competizione caricandoli di aspettative ambiziose”. Inoltre, come suggerito da alcuni relatori presenti al corso, prima degli 11 anni è importante che i ragazzi provino e si confrontino con varie attività sportive per poi approdare a quella che può essere più congeniale per ognuno di loro.
A dar forza allo spirito del corso anche le testimonianze di alcuni ragazzi con disabilità che hanno raccontato in prima persona quanto lo sport sia stato importante nella loro vita. In particolare molto toccante è stata la testimonianza di un ragazzo di circa 23 anni con la sindrome di Asperger, appassionato di nuoto fin da piccolo, che ha raccontato di quanto questo sport lo abbia accompagnato nella crescita restituendogli una dimensione sensoriale che non riusciva a trovare in altri contesti e che gli ha consentito di superare tante difficoltà, anche di tipo relazionale. Ma lo sport è anche uno strumento di rinascita, come è stato per Daniela De Rossi, medaglia d’oro nel nuoto ai campionati mondiali di Perth, in Australia. Una campionessa con alle spalle una malattia rara e un trapianto d’organo, che ai presenti al corso ha portato la sua coraggiosa testimonianza.
Storie esemplari da cui i relatori hanno tratto importanti riflessioni, prima tra tutte che “per consentire ai ragazzi con disabilità di praticare attività sportiva è necessario che ci siano sempre più spazi adatti, attrezzati e privi di barriere architettoniche- conclude Grimaldi– oltre che il sostegno delle istituzioni per queste famiglie. Punti su cui tutti, insieme, dobbiamo impegnarci”.