Ci troviamo in compagnia di Elio Forcella, autore di Cani di strada, libro che è risultato il primo classificato della prima edizione del concorso Editoriale “UNA STORIA PER IL CINEMA”. La sceneggiatura è pronta e nella seconda metà di Febbraio inizieranno le riprese del film.
Elio come sei venuto a conoscenza del concorso?
Tramite Internet
Cosa fai nella vita?
Forse sarebbe più esatto dire cosa facevo, dato che si è appena concluso il mio rapporto lavorativo con l’ente pubblico presso il quale ho lavorato per molti anni. Ad ogni modo la mia occupazione si è svolta prevalentemente all’interno del settore informatico, qualcosa di molto lontano dalle mie passioni: il teatro e la scrittura. Ti confesso una cosa: ora sono un ragazzo di 67 anni.
Da dove nasce l’idea di Cani di strada?
Dalla strada appunto.
Quanto sei emozionato al pensiero del film?
Tantissimo, anche se si tratta di una forma espressiva molto diversa, il cinema si esprime per immagini, come i sogni. Sai, io ho una convinzione: nell’attimo stesso in cui l’autore appone la parola sipario oppure fine sul suo testo o romanzo, esso non appartiene più a lui, ma al lettore o a coloro che ne cureranno la messa in scena.
Quanto sei stato felice quando hai scoperto che eri stato tu a vincere?
Ho fatto un gran salto di gioia Ti posso assicurare che si è trattato di un salto altissimo.
Ci parli un po’ della tua formazione e dei precedenti premi conseguiti?
Per oltre vent’anni ho svolto un’intensa attività teatrale, curando regia e messa in scena dei testi. La mia è stata una ricerca tesa al conseguimento di risultati sempre più innovativi. I mie testi teatrali hanno conseguito riconoscimenti nazionali e internazionali, potrei citare: Il Concorso Nuova Drammaturgia Italiana, promosso dal Dipartimento Italiano della Columbia University e dall’Istituto Italiano di Cultura a New York, Il Premio Ennio Flaiano per il teatro, il Premio Vallecorsi, il premio Sipario. Ma a un certo punto è subentrato in me un irreprimibile bisogno di scrivere, che mi ha fatto approdare ad altri generi letterari.
Qual è stato il traguardo più atteso e qual è il prossimo obiettivo?
Sicuramente è stato il Premio Flaiano, appena citato. Per quanto riguarda il prossimo obiettivo non saprei. Per me scrivere è una sorta di viaggio verso una meta non del tutto prestabilita. Lungo il tragitto incontro dei compagni, con i quali condivido speranze, illusioni, paure, sogni, fino a quando comincia a delinearsi la meta sempre più nettamente. È la stessa cosa di quando ci si avvicina a un’isola, si cominciano a distinguere i contorni delle case, le strade, le colline, gli alberi. Però m’accade una cosa strana. Non appena raggiungo la meta, metto piede sull’isola, subito mi assale il desiderio di ripartire: un nuovo viaggio, nuovi compagni, una nuova meta. Ecco io spero di poter proseguire questo viaggio, infinito come la scrittura.
Oggetto del film sono temi come l’amicizia “oltre la violenza, oltre il buio”. E’ un sentimento a cui credi nella vita, quello dell’amicizia?
Io credo che l’amicizia esista laddove vi sia una grande capacità di amare, ovviamente, intensa non in senso religioso, ma come affettività; purtroppo spesso perduta. Sai Roberta, io ho vissuto il ’68. Noi avevamo un sogno: quello di cambiare il mondo, renderlo più giusto e più libero. Questo sogno è rimasto intatto nel ragazzo che è in me. Ma credo che per poter cambiare davvero il mondo, bisogna prima cambiare noi stessi, realizzando la nostra identità di uomini o donne. Questa realizzazione implica una trasformazione che è alla base di una rivoluzione senza armi, parlo della rivoluzione del pensiero.
Chi sono nella tua vita Rockstell, Blues e Leila, i protagonisti del tuo film? Cosa rappresentano?
Sono tre giovani emarginati: un immigrato in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno, un disoccupato incazzato, una donna vittima della ripetuta violenza all’interno delle pareti domestiche che l’ha portata a prostituirsi. Tre giovani border-line, gli ultimi della società? No, sono i cosiddetti cani sciolti, gli esclusi: quelli che devono essere allontanati, soppressi, rinchiusi, isolati o comunque non devono partecipare in alcun modo. Libertà è partecipazione, cantava Giorgio Gaber, io aggiungerei: Trasformazione.