Vintage: vero o fake? Vintage o Usato (la differenza c’è e vale il prezzo) Il vintage è cool, ispira anche gli stilisti per le nuove collezioni, piace ai Millennials, è antispreco perchè nel riuso di capi usati si soddisfano i principi dell’economia circolare ed è di grande moda ma proprio per questo non sempre è autentico. C’è seta e seta. C’è cachemire e cachemire ma, soprattutto, c’è etichetta ed etichetta per stabilire se un vestito è realmente vintage o spacciato tale. A fronte di cappottini stile anni Ottanta, gonne e pantaloni di pelle e trench che vanno a ruba in questo momento (sono fra i pezzi vintage più richiesti questo anno), aumentano anche gli abiti e gli accessori fake venduti come originali e a prezzi salati. Partendo dal presupposto che un abito è vintage se confezionato in modo sartoriale e con tessuti di qualità almeno venti anni fa’ mentre è semplicemente usato negli altri casi, esiste un modo per selezionare il vero dal falso?
Se ne discute in tutto il mondo, non mancano workshop sul tema, forum di discussione online ed aumentano i siti specializzati per lo shopping da ‘bollino blu’ che garantiscono l’autenticità dei pezzi offerti. Hanno grande successo anche le organizzazioni che selezionano i più preziosi mettendoli all’asta, come accaduto recentemente e Milano all’asta del second hand e del vintage di Finarte. Qui una folla di signore e signori si sono aggiudicati pezzi autentici, incluse borse e accessori di Hermès, Chanel e Louis Vuitton certificate d’antan. Garantisce vendite autentiche anche la prima APP italiana Vintag che conta oltre 39.000 utenti attivi che hanno comprato o venduto almeno un articolo degli oltre 111.000 disponibili (dal bottone vintage di 1 euro alla borsa Kelly di Hermes da 28.000 euro). Fondata come start-up da Francesca
Tonelli che, partecipando i giorni scorsi al primo workshop dedicato al riconoscimento dei capi originali svolto a Roma, ha spiegato: “Il vintage non è second hand ed è diverso dall’usato e dal vecchio. Un oggetto vintage ha rappresentato una generazione e un’epoca diventando icona di quel tempo. Il suo valore è fortemente dipendente da questi elementi insieme alle sue doti di irriproducibilità e di elevata qualità”.
Come riconoscere un capo originale? “La prima valutazione di un abito vintage si fa partendo dall’etichetta, – ha spiegato Alberta Spezzaferro, consulente vintage e direttrice creativa SiTenne. – L’abito di boutique d’antan ha la cosiddetta ‘etichetta sartoriale’, che si distingue da quella di composizione. La prima non è stampata ma ricamata e riporta il nome del sarto o della sartoria, l’anno e il luogo di confezionamento. Dagli anni Ottanta questo genere di etichette riportava anche il nome della boutique associata alla marca, come ad esempio ‘Ausoni per Cenci’, oppure ‘Ausoni per Burberry’. Le etichette di composizione invece sono state inserite per legge a partire dagli anni Settanta quindi laddove siano presenti si può capire l’età del capo e anche individuare la composizione dei tessuti ed il luogo di fabbricazione. Infatti una gonna venduta come vintage, seppure lucente e palpabile, potrebbe essere al 100% poliestere, fabbricata in USA e non valere il prezzo richiesto”.
Di anno in anno le etichette sono diventate sempre più grandi e fitte di indicazioni su composizione e metodi di lavaggio, fino ad arrivare alle moderne ‘lenzuolate’ redatte in più lingue. L’etichetta vintage invece contiene brevi indicazioni di manutenzione come ‘lavare a mano’ oppure a secco. Gli accessori di lusso vintage, come le borse, inoltre sono corredati da etichette sulla manutenzione del pellame e delle cuciture, incluse le istruzioni per conservarle intatte (nel sacchetto originale, l’indicazione più comune).
Anche sul fronte dei tessuti ci sono differenze che si possono individuare per stabilire l’epoca di produzione e la qualità. “Una maglia in cachemire di qualità, composta da almeno tre fili, è soggetta al noto effetto ‘pilling’, cioè la comparsa di fastidiose palline di lana, solo nelle zone soggette ad attrito come gomiti, avambraccio e ascelle senza però intaccarne la consistenza. Se invece il cachemire è di bassa qualità ed include anche fibre sintetiche sarà soggetto al pilling anche in zone non soggette a sfregamento e la trama perderà compattezza e volume, – precisa l’esperta.
Anche sul fronte della lana ci sono differenze perché la lana vergine è diversa dalla pura lana vergine: la prima è stata recuperata, la seconda è usata per la prima volta. Infine una precisazione sui tessuti sintetici che non sono tutti uguali e la qualità di quelli vintage supera quella dei filati di oggi, giurano gli esperti. Il nylon di maggiore qualità pare essere quello risalente agli anni ottanta mentre quello antecedente e il moderno poliammide sono ritenuti scadenti.
Il check dell’abito vintage originale si conclude col controllo delle asole, dei bottoni, delle cuciture (i lembi ricuciti e chiusi sono indice di qualità) e dei fili per le cuciture (bocciati i fili di nylon che negli abiti di qualità non si usano).